Sono stati la colonna sonora di molti abbracci, baci sbucciati e raccolti nell’ombra dei tramonti, fidanzamenti adolescenziali tra “la prima cosa bella” e “che sarà”, anche adii non sempre ben definiti tra “se mi innamoro” e “Mamma maria”. I ricchi e poveri, insomma, hanno fatto parte del nostro curioso universo tra il 1970 e quasi sino agli anni novanta per poi inabissarsi nella lunga parabola dell’oblio, seppure con qualche piccola comparata nelle trasmissioni “vintage” sino a raggiungere la nuova apoteosi con il premio “città di Sanremo” al Festival 2020. Lui, Franco Gatti, era sempre presente, con il suo vocione portentoso e la sua faccia rassicurante, da vecchio postino con le rughe, da marinaio con occhi sperduti nell’orizzonte, con una sottile ironia e flemma quasi inglese da contrapporre alla “brunetta dei ricchi e poveri” Angela Brambati. Franco, genovese, soprannominato “il baffo” con la sua voce da basso pareva quasi inutile ad un gruppo votato al falsetto e agli acuti di Angela. Tutto, però, era destinato all’armonia. I ricchi e poveri erano quelli che cantavano canzoni divertenti, appiccicose (nel senso che aiutavano nella limonata o pomiciata che dir si voglia) con parole semplici e leggerissime. A quei tempi, per dire, ascoltavo i Perigeo, il Banco, la PFM, gli Area, Guccini, Bob Dylan, Led Zeppelin, solo per citare alcuni. Eppure quelle canzoni dei ricchi e poveri mi perseguitavano e seppure non acquistai mai un loro disco, alcune le cantavo a memoria e a squarciagola. Sapere che Franco Gatti, il baffo, ci ha lasciato mi rattrista perché è una piccola grande perdita nell’universo dei ricordi. Gli dedico una loro canzone “La prima cosa bella”. Era un pezzo del 1970, scritta da Mogol con la musica di Nicola Di Bari e Franco Reverberi. Arrivò seconda al Festival dietro “Chi non lavora non fa l’amore” e, se divo dire la verità – e non per piaggeria o pietismo – la loro canzone cantata in coppia con Nicola Di Bari meritava la vittoria. Ciao baffo, io almeno un bacio con le tue canzoni me lo ricordo eccome. (e anche qualche limonata…)
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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