Ieri ho passato la serata con un amico sardo che vive da anni in una città dell’alta Italia. Ci vediamo una volta l’anno e attendo sempre con una certa trepidazione l’incontro, perché il mio amico è una di quelle intelligenze inquiete e vivaci che, nel fluire della conversazione, ti aprono sempre nuove prospettive sul mondo.
L’ho pregato affinché ci vedessimo dopo cena, essendo talmente affollati ristoranti e pizzerie da trasformare in una sofferenza il piacere dell’incontro: stiamo assieme per chiacchierare e, essendo io anche un po’ sordo, la confusione ci avrebbe ridotto a scambiarci messaggi su whatsapp, come del resto facciamo spesso per colmare le centinaia di chilometri che durante l’anno ci separano.
Abbiamo perciò deciso di vederci in un piccolo bar di una frazione balneare, senonché il locale stava per chiudere e ci ha costretti a spostarci in paese, in un locale sul viale principale.
Era discretamente affollato, ma un paio di tavolini all’aperto ancora liberi. Ho avvicinato la cameriera e le ho chiesto se potessimo sederci, lei con un sorriso gentile e un ampio gesto del braccio ci ha invitato ad accomodarci.
Il mio amico ha portato gli indici sulle orecchie, chiedendole se si potesse abbassare leggermente il volume della musica sparata dagli altoparlanti: un bombardamento di decibel violento, martellante e molesto.La signorina ha cambiato espressione e ha garantito che avrebbe fatto il possibile, ma ho capito subito che quel possibile era impossibile.Allora ho proposto al mio amico di trasferirci al coperto, nell’ampia sala del bar, e così abbiamo fatto cercando consolazione acustica.
Ma ben presto ci siamo accorti che l’inquinamento sonoro, all’interno, era anche peggiore di quanto fosse all’aperto.E così con questo BUM BUM BUM BUM BUM ossessivo che ci sfondava i timpani abbiamo provato a raccontarci reciprocamente le nostre vite, ripetendo almeno due volte ogni singolo episodio perché il fracasso ci faceva perdere una parola ogni due.Si è fatta mezzanotte e siccome mi stava venendo mal di testa, ho proposto di continuare la chiacchierata passeggiando verso la piazza del paese.Ci siamo lasciati alle spalle il BUM BUM BUM e mi sono chiesto come e se potesse essere il sonno delle persone delle case vicine, quelle che magari la domenica mattina si alzano all’alba per andare a lavorare. Avrebbero drammaticamente ridotto i profitti, due tacche in meno sulla manopola del volume?
Non faceva caldo e l’unico rumore era il rombo delle automobili lungo il viale che stavamo costeggiando a piedi.Finalmente si poteva parlare in pace!Abbiamo scalato la via lastricata di granito in cima alla quale si apre la piazza e già sognavo una birra ghiacciata seduto ad uno dei tavolino del bar.Ci siamo affacciati alla piazza e…BUM BUM BUM BUM BUM
Orrore!Sul palco in cemento, di fronte a noi, tutto uno sfavillare di luci da albero di Natale illuminava due deejay che pronunciavano frasi incomprensibili a commento della loro selezione musicale, vomitata dall’amplificazione ad un volume improponibile.La piazza era gremita di gente, il che è sempre un bel segnale, ma mi sono chiesto che razza di comunicazione ci potesse essere tra le centinaia di astanti che la occupavano.
Il mio amico e io abbiamo mestamente chinato il capo e abbiamo ripreso la nostra passeggiata per le vie silenziose del paese.L’ultima parte della chiacchierata e i saluti finali hanno avuto luogo nel piazzale di una pompa di benzina, tra il vai e vieni di ubriachi e ragazzine scosciate la cui serata era solo all’inizio.
Il mio amico se n’è tornato nella casa di Olbia dove trascorre le vacanze, ma fino alle cinque non ha preso sonno.Indovinate perché? Semplice, a Olbia hanno inaugurato una manifestazione musicale e fino all’alba non può mancare il BUM BUM BUM BUM sparato a tutta forza.
Non c’è bisogno che mi diciate che ragiono da vecchio, perché me ne accorgo benissimo da me.
Ma è mai possibile che estate debba per forza significare rumore scriteriato e in un qualunque luogo pubblico sia vietata ogni forma civile di interazione verbale?Lo so che è estate e la gente si vuole divertire, nessuno lo mette in discussione, ma il punto è proprio questo: ci si potrà divertire anche senza mettere a rischio i padiglioni auricolari?io credo proprio di sì.
Molti anni fa, quando ancora facevo il giornalista, mi cercò un noto scrittore sardo che trascorreva le vacanze al mio paese, dove possedeva una casa. Voleva sensibilizzarmi alla cultura del silenzio, essendo anche lui ogni notte tramortito dalla valanga di decibel emessa da locali notturni e manifestazioni di intrattenimento.Lo liquidai classificandolo come un vecchio egoista che non vedeva oltre le sue otto ore di sonno e i suoi comodi.
Ma la vita gira, gli anni passano e le prospettive cambiano. Oggi penso avesse ragione o che, quantomeno, questo problema culturale vada posto.
Non mi ferisce chi stia pensando che io ragioni da zombie, ovvero morto vivente, tantomeno ne sarò offeso quando, dopo le righe seguenti, ne avrà conferma.Al mio amico, che sicuramente leggerà questo post, propongo di vederci il prossimo anno, da vivi, al cimitero del paese.Non riesco a immaginare altri luoghi in cui ancora vigano rispetto e amore per il silenzio.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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