Mentre ancora la mia città era percorsa da urla, sirene e rabbia, ho scritto al mio amico Aldo Brigaglia che, pur non essendoci nato, vive quasi da sempre a Cagliari. E, pure nella sua distaccata ironia, so che ama Cagliari e ne conosce molto bene le dinamiche sociali e culturali, ne ha ormai metabolizzato la storia antica e controversa di capitale di se stessa costretta forse controvoglia a esserlo anche dell’intera isola. Gli ho chiesto in sostanza: ma cosa sta succedendo? Ma allora è vera questa stronzata del campanilismo? Ecco la risposta. <<A Cagliari non sanno neppure che esista una città che si chiama Sassari. Vivono nel loro atarassico selfcentrismo. Ma sul muro a fianco all’ingresso della scuola di mia nipote, l’altro giorno, ho visto la scritta “Torres merda”. Che tipo di rapporto possa esserci tra una squadra di serie A e una di infima serie in odore di fallimento, è un mistero le cui radici affondano in insondabili storie antiche. Ma il problema è un altro. Gli ultras sono coglioni ovunque. Se la trasferta fosse stata a Tempio, o a Tortolì, si sarebbero comportati nello stesso modo. O ci decidiamo a metterli in prigione per un po’, e soprattutto a non farli entrare allo stadio e a non farli andare in trasferta, o non ne usciremo mai. Britannia docet>>. Ecco, questa è una formidabile sintesi tra l’analisi basata su conoscenza e ragionamento e le conclusioni legate anche al comune buon senso, quello che i veri intellettuali, cioè quelli che studiano le cose per capirle davvero, non dovrebbero rifuggire nel timore di apparire “banali”. Io ogni volta che mi lascio affascinare dalla puzza della prigione come risposta a qualcosa, entro in crisi. Il motivo è la grande ammirazione che ho per Luigi Manconi, che giudico uno dei più grandi e innovativi intellettuali dei nostri tempi. E la negazione del carcere come rimedio a un male, qualunque esso sia, è un mattone fondante della sua filosofia. Ma è difficile essere sino in fondo coerenti in ogni momento della propria vita. Ieri notte, a esempio, alla sintesi dei fatti di Sassari da parte di un organo di informazione dalle ambizioni regionali e dal cuore molto al Sud della Sardegna, ho stentato a tenere a freno certe mie becere pulsioni campanilistiche delle quali fa razionale giustizia la bella risposta di Aldo Brigaglia. Questo organo ha detto che Sassari era stata messa a ferro e fuoco dagli “scontri tra opposte tifoserie”. Non è così, come si sa. In realtà Sassari è stata assalita. Non gli ultras sassaresi, ma proprio Sassari. Tutti noi. E a fare l’irruzione dentro le mura indifese non sono stati i cagliaritani ma un esercito di ventura senza patria, che è quello dei violenti disperati per ora raccolti nelle curve degli stadi e domani chissà in quale altra malintesa patria. Un esercito mercenario, non perché pagato in moneta ma perché oggettivamente supportato e incoraggiato, in Italia e in Europa, da chi ha interesse a convogliare il malessere delle periferie urbane in questa violenza che non porta a rivendicazioni sociali ma solo alla rabbiosa richiesta di più poliziotti , più manganelli e più galere. E nel caso di ieri, come in tanti altri, come si fa a non invocare la galera come unico contenimento a queste bande di violenti? Ieri è successa a Sassari una cosa che servirà in maniera formidabile a tutti coloro che vogliono fare crescere la percezione dell’insicurezza in maniera spropositata rispetto all’insicurezza reale. Non sono stati i cagliaritani a farlo, ma Sassari è stata comunque aggredita. Una città colma di rappresentanza politica a tutti i livelli eppure debole, declinante in quanto e economia e cultura. Il sindaco di Sassari ha chiesto verità e giustizia. Speriamo che in un sussulto di dignità le chieda con lui tutta la città e che davvero l’assalto non si riduca a una rissa tra “opposte tifoserie”.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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