Non siamo riusciti a costruire il futuro. Non ne siamo stai capaci. Era semplice segnare la linea che separava il bene dal male. Era facile. Ma non lo abbiamo fatto. Era semplice comprendere che le armi non ci avrebbero arricchito, che non si costruisce il futuro con chi gioca con la morte, che a vendere ettari di terra calpestata dai nostri avi era come vendere la nostra dignità. Dovevamo capirlo fin da subito che questo era un vuoto a perdere, il verde con il piombo, la terra con il nulla. Lo dovevamo capire che le pallottole volanti che riscuotono i pedaggi non facevano parte del nostro recinto culturale, che non sono gli stipendi di un militare ad ingrassare la terra. Lo dovevamo capire da subito, quando ci siamo arruolati chiudendo gli occhi alla campagna e poi, quasi con ingordigia, a quella campagna siamo ritornati. Che fosse una guerra dove non si poteva competere era chiaro fin dagli albori. Che fossimo servi e servi sciocchi si soppesava da sempre: ma avevamo vergogna di salire sulla bilancia. Il nostro peso era pianificato sui nostri figli: dovevamo chiudere gli occhi e aspettare il rimbalzo del proiettile, la traiettoria disegnata dagli altri, perché noi non avevamo forza e non avevamo penne per prendere appunti. Ed è inutile, oggi gridare “Non sono d’accordo”, e costruire folle plastificate di gente abituata a chinare la testa per un pezzo di pane e per uno stipendio sicuro. Lo so, sarebbe bello poter chiudere gli occhi e sperare che quel proiettile rimbalzi da qualche altra parte. Lo so, siamo ragazzi nel tempo e non siamo riusciti a raccogliere gli attimi. Tra quella terra che ci chiama e ci chiede solo un momento di silenzio addolcite lo sguardo e provate a cercare la linea: siamo dolci figli del tempo perduto, siamo gli sconfitti e i vincitori, siamo quelli nella terra di tutti a cercare le risposte per nessuno. Non abbiamo bisogno di armi e di giochi e non abbiamo bisogno di soldi apparentemente sicuri. Proviamo a cercare il filo giusto per questa storia, proviamo a trovare il futuro negli occhi dei nostri figli. Proviamoci. Loro se lo meritano, dolci figli del tempo. Dolcissimi e tristi, come questa canzone che ci accompagna negli anni: “Child in time” dei Deep Purple.
Child in time (traduzione)
“Dolce figlio del tempo vedrai la linea La linea che separa il bene dal male Vedrai il cieco che spara al mondo Pallottole volanti che riscuotono pedaggi Se sei stato cattivo, oh Signore, lo scommetto, e se sei stato colpito da piombo volante Faresti bene a chiudere gli occhi, chinare la testa E aspettare il rimbalzo del proiettile”
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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