Accadeva giorni fa, di ritorno da lavoro, sullo stesso treno e con gli stessi pensieri dell’andata ché quelli, si sa, mica scendono alle fermate senza di te? Mi è seduta accanto una giovane donna. È al telefono con l’amica di sempre, suppongo. Le sta raccontando del suo ultimo naufragio sentimentale. Il capitano ha abbandonato la nave e lei è finita nella scialuppa con tutte le altre. (A volte ci si può salvare). Chiede continuamente il parere dell’amica e continuamente le suggerisce pure le risposte. Quando si ‘soffre’ funziona così, vuoi che gli altri ti dicano quel che vuoi sentirti dire. In pratica, vuoi che la presa per i fondelli sia elevata al quadrato: dal ‘lui’ che si è dato e da chi è chiamato a consolarti. Me la immagino la poveretta all’altro capo del telefono… Io mi aggiustavo le sopracciglia e, se per errore strizzavo anche la carne e mi lanciavo in un urletto di dolore, fingevo d’esser addolorata per quanto mi si stava raccontando. Oppure disegnavo falli e cuori, cuori e falli, falli e cuori, cuori e falli. Credo che da quella grottesca coabitazione nello stesso spazio cartaceo di cuori e falli siano, poi, derivati tutti i problemi della mia vita privata. “Mi ha detto cose che non stanno né in cielo e né in terra. Ma che voleva dire, secondo te, quando ha detto quello che ha detto? Io la vedo così: ha detto quelle cose per paura di dirne altre, perché sa che io, poi, avrei collegato il tutto a quelle altre cose che ha sempre negato o detto a metà. Secondo te? Però, Maria, tu non c’eri, quindi non puoi capire. Ma, secondo te, non è possibile che ritorni e che chiarisca meglio le cose che ha detto? Io ho percepito che…”. Sul ‘percepito’ stacco la mia attenzione, tiro fuori l’agenda e mi metto a disegnare. Senza cuori. L’inconsolabile vi getta l’occhio. Poi squadra me. Ho i tacchi, la borsa da lavoro, le mani fresche di estetista, sono ben vestita e ben truccata, indosso persino gli occhiali da vista che fanno tanto professionale. Starà pensando che sembro una persona tanto normale e, invece, guarda questa che disegna… E ritorna ai suoi ‘secondo te?’ coi quali sta ammazzando l’amica da circa venti minuti. La osservo anche io, ma con sguardo più bonario. Sarà la leggerezza con cui disegno falli, sarà che sta capitando ora a lei quel che è già capitato a me, sarà l’aria di Natale, gli alberi che son pieni di palle una volta l’anno e io che ne ho le palle piene per gli altri trecentosessantaquattro; sarà quel che sarà, ma penso che se ci dicessimo le cose senza conceder spazio alle interpretazioni si guadagnerebbero tempo e salute e carta. Chiatto chiatto, come si dice a Napoli. Una volta mandai a quel paese uno. “Dai, comprendo, lo stress, il lavoro e, poi, sicuramente anche il trasloco. Magari volevi solo esternare il tuo bisogno di aiuto e hai scelto la maniera, diciamo, più folkloristica? È così? Ho interpretato bene?” “No no, era proprio vafangul”. (Vesuviana, un giorno come tanti, tra persone come tante, di storie come sempre)
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
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Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
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