Su cosa stia accadendo nel Veneto alle prese con secessioni via web, organizzazioni tragicomiche di colpi di stato e isterismi di massa all’annuncio dell’arrivo di sceicchi si è già scritto su questo blog; la nostra battagliera Romina Fiore ha espresso indignazione sul progetto del grand tour europeo del non identificato sceicco di Dubai ricercante avvenenti guide fluenti in inglese e in grado di distinguere una borsetta “Jane Birkin” di Hermes da una “Baguette” di Fendi. Oltre a risvegliare il solito senso di vergogna sul cosa possa implicare essere donna al giorno d’oggi, la notizia è allarmante per altre ragioni.
L’informazione italiana ne esce con le ossa rotte, ancora una volta. Vittima di se stessa e del suo sensazionalismo e, al tempo stesso, carnefice. Carnefice perché responsabile di mistificazioni, imprecisioni e descrizioni bozzettistiche. Inevitabile per gli addetti ai lavori spendere qualche parola sul fatto, per puro dovere di cronaca. Giudicata evitabile invece una precisazione che sarebbe stata utile all’ opinione pubblica italiana che di mondo arabo sa poco e nulla: quella secondo la quale l’ignoto “sceicco di Dubai”, con tutta probabilità, non è nessuna espressione dell’autorità ufficiale del paese, governato dall’emiro Mohammed bin Rashid Al Maktum. Qualora fosse vero l’opposto, ecco, questa sarebbe un’informazione degna di nota. Questo esempio che si ricava dal banale episodio della gita del ricco arabo di turno è caratteristico di problema non nuovo.
Edward Said, l’intellettuale palestinese scomparso nel 2003 scriveva a fine anni ‘70 in opere come “ Orientalismo” e “Covering Islam” della connotazione superficiale e negativa dell’uomo arabo data dai media occidentali. Antisemiti, avidi fornitori di greggio utilizzabile come arma di ricatto, lascivi e disonesti, amorali, quando non degenerati sessualmente. E quasi sempre spersonalizzati, inseriti nella genericissima categoria di “ arabi” senza nome. Negli anni duemila “l’arabo” è ancora il ricco sceicco che considera l’Europa come un immenso centro commerciale, amante delle donne, che in versione aggiornata rileva anche i grandi club di calcio.
C’è chi a tutto questo attribuisce il nome di “ Islamofobia”, che in alcuni contesti si tramuta in un vero e proprio business. Si pensi al caso del Middle East Media Research Institute israeliano o al contesto statunitense descritto da Nathan Lean in un testo dall’esplicito titolo “ The Islamophobia Industry”. L’islamofobia in aumento in America e Europa, scrive il “ Guardian”, è spesso causata da notizia sensazionalistiche come guerre – Afghanistan, Iraq, conflitto israelo palestinese – progetti espansionistici dei governi dei paesi del Golfo, che sono spesso annunciati ma mai analizzati a fondo. Nel 2011 si diffusero voci secondo cui il fondo sovrano del Qatar fosse pronto ad allungare i suoi tentacoli sulla francese PNB Paribas e la Santander. Voci poi smentite.
I media che seguono queste vicende non potrebbero arrivare a negare l’evidente opportunismo e dinamismo dei paesi petrolieri arabi. Potrebbero però aggiungere che gli sceicchi tanto stupidi non sono, e che se pur ben disposti a spendere i loro petrodollari, sono anche propensi a farlo in attività sicure con un’ottica a lungo termine. Motivi probabilmente alla base anche della pernacchia rifilata a Massimo Cellino ai suoi sogni da “Mille e una Notte”.
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