Io, da piccolo compravo la mortadella da Marantona, così la chiamavamo noi ragazzi di via Cravellet ad Alghero, sempre pronti a giocare tra la polvere con le biglie e le figurine in mezzo ad una strada orfana di auto. Marantona aveva il negozio in un piccolo magazzeno del mio palazzo e, oltre la mortadella, tagliata con l’affettatrice rossa, con una grande manovella e un rumore assordante e stridente, vendeva i succhi di frutta, la nutella e la crema rosa. Quest’ultima la riversava sulla carta oleata. Era dolcissima e quando riuscivo a convincere mia madre ad acquistarla, nel piccolo tragitto dal negozietto a casa, aprivo il cartoccio oleato e, con il dito, riuscivo ad arrivare alla crema consumandone più della metà. Mia madre controllava il peso specifico del pacchetto e, ritenendolo non conforme alle lire consegnate, mi accusava di aver mangiato la crema ma io, sorridendo dicevo: “Marantona mi ha dato questa. Forse è aumentata”. Poi, c’era il negozio di signora Luigina, più avanti e quello di Di Napoli, novello sposo. In poche strade impolverate di un quartiere che ancora doveva nascere c’erano ben tre negozi di alimentari. Per non parlare della latteria di signora Maria dove ci si recava con la bottiglia di plastica rossa ad acquistare il latte sfuso che veniva giù da un bidone d’acciaio con un rubinetto enorme. E signora Maria usava, per tutti, il solito imbuto. Senza risciacquo. I negozi non ci sono più. Spariti, ingoiati da garage per automobili. Nel quartiere non ci sono più neppure i bambini che giocano per strada. Si va a città mercato, da Tanit, alle Vele e si acquistano gli alimentari con grandi carrelli in questi terribili “non luoghi” tutti spaventosamente e tristemente uguali. Marantona, di questi tempi non avrebbe senso. Parlava con noi ragazzini. Ci chiedeva della scuola, ci domandava cosa facevamo il pomeriggio. Era una splendida impicciona ma emanava vita, raccoglieva parole e le restituiva. Oggi, nelle casse delle città mercato fuori della città, ci sono solo cassiere in attesa di concludere quel turno massacrante ed alienante che ti chiedono sempre e soltanto: “tessera?” e al mio solito “no” (non riesco a capirne l’importanza di queste tessere) ti guardano con compassione, ma non sorridono. Non c’è più Marantona e neppure gli altri piccoli negozi, luci soffuse, dove il fare la fila era una scusa per chiedere, informarsi, conoscere. Era anche provare con la furbizia dei ragazzini a prendere una caramella in più, una mentina colorata, quelle da una lira, o provare a farsi regalare da qualche signora amica di tua mamma il gelato di zucchero. Altri tempi. Certo. Altri tempi. Lenti e tortuosi. Il problema però è lo sventramento della città che, lentamente scivola verso una periferia ruvida, con colori acidi e veloci. Dove tutti si incontrano e nessuno parla. In qualsiasi “non luogo”, dentro ogni mega center, l’unica cosa importante è “avere la tessera”. Ma per parlare con Marantona bastavano gli sguardi, piccoli sorrisi e fugace speranza che sbagliasse il conto delle mentine. Impossibile nei mercati di oggi dove tutto è terribilmente contato, misurato, costruito, impacchettato. Dove, per sopravvivere mica ci vogliono gambe veloci e disposte al gioco. In questi silenzi pieni di gente basta una stupida e inutile tessera.Il 6 febbraio del 1888 veniva fondata la fabbrica “Lazzaroni”, quella che produsse i famosi amaretti di Saronno che Marantona vendeva nel suo negozio. Erano buonissimi. Neppure quelli ci sono più.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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