Il 10 ottobre del 1990 un emozionato Achille Occhetto annunciava la nascita del Partito Democratico della Sinistra. Quel giorno venne presentato il nome e un’anteprima del simbolo: una quercia che conservava alle radici l’emblema del Partito Comunista Italiano. Quel simbolo mi piacque perché rappresentava qualcosa di forte, rigoglioso con radici sicure e una continuazione di quello che era stato il partito comunista più forte dell’allora occidente. Sono passati 32 anni e tutto questo sembra appartenere alla preistoria e noi siamo diventati vecchi fossili con lacrime e ricordi da gettare sul tavolo dei rimpianti. Siamo stati quelli dei ciclostili, dei comunicati lunghi e verbosi, quelli sempre pronti a puntualizzare, certificare, analizzare, vaporizzare le parole. Quelli con l’eskimo e la sciarpa lunga (e forse inutile) con l’Unità, con il quotidiano dei lavoratori e Lotta Continua. Poi, lentamente si è passati a “La Repubblica” per dividersi in mille rivoli passando per La Voce, il Corriere, Libero e il Fatto Quotidiano (e qualcuno è abbonato a La Verità). Siamo stati quelli pronti a versare lacrime e ideologia per Cuba e per il Cile, per l’esercito di Ho Chi Min che sconfiggeva i francesi e liberava la capitale vietnamita Hanoi, per il libretto rosso di Mao Tse Tung (si, abbiamo amato anche quello) per giungere a sederci comodamente con i prodotti Apple che fanno figo e hanno una certa vaghezza di sinistra (ma quando mai?). Siamo quelli che la parola “sinistra” era fondante, fondamentale e l’abbiamo barattata per una fusione a freddo con la Margherita (leggi: vecchia democrazia cristiana) e abbiamo accettato di diventare “Partito Democratico” (come se gli altri partiti, invece, non lo fossero). Direbbe il vecchio e dolcissimo Bersani: “E’ quest’acqua qui”. Si, il problema è che a furia di navigare in questo mare tortuoso senza bussola non siamo riusciti a capire non tanto dove è la terra ma quale potrebbe essere la nostra terra. E non dovevamo morire democristiani. Lo dico sorridendo anche perché non sono mai stato iscritto al PCI, al PDS e neppure al PD. Però ci sto male. E molto.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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