Mi sono rivisto con i pantaloni corti e le figurine dei calciatori in tasca mentre camminavo nelle vie polverose di un Alghero che, a quei tempi, era estrema periferia. A giocare a piattini, a “creus e crastu”, a palline, a “pola ci sto” a quelle cose terribilmente importanti per dei ragazzini a ridosso degli anni settanta. Mi son rivisto con un pinguino e con un ghiacciolo che costava trenta lire e speravi che tua nonna, all’uscita della messa, ti desse i soldi per poter acquistare quel pezzo di ghiaccio zuccheroso e colorato. Mi son rivisto a scambiare le figurine, alla ricerca di William Vecchi, il portiere del Milan che ci mancava per completare l’album. E avevo dieci doppie di Mazzola. E di Rivera. E il pallone che “svariava” e finiva dentro il cortile della scuola. E il bidello che ci urlava. E correre e ridere, nella gioia dei nostri dieci anni. Mi son rivisto al mercatino del mercoledi, quando mio zio, arrivato dal Belgio, acquistò il disco “lo scudetto in Sardegna” – per me è un grande onore, nel mio cuore regna – e noi ad impararlo a memoria e a riderci sopra quando si giungeva al fatidico “E Riva il cannoniere, quando tira il rigore fa tremare il portiere”. Mi sono rivisto con la maglietta di Suarez a giocare e rigiocare partite che finivano con troppi gol e giocate rigorosamente senza “fuori gioco”. E per porta solo le pietre che trovavi vicino a scuola. E le pause dettate dalle poche auto che passavano ad invadere il tuo campo da gioco, durissimo e polveroso d’estate, denso di fango e pozzanghere d’inverno. Mi son rivisto ed ho sorriso quando hanno intervistato il mister del Leicester, Claudio Ranieri e mi son commosso quando ha detto: “Questa è una favola, ma è anche una bella storia di sport. Dove tutti i giocatori si aiutavano in campo”. Ho capito che anche io avevo vissuto nel 1970 quella favola: lo scudetto in Sardegna. Ne parliamo ancora adesso ed ogni volta mi rivedo tra le figurine, i palloni, le ginocchia sbucciate e una dolcissima vitalità. Ecco cosa dovrebbe essere il calcio, il gioco, lo scudetto, la vittoria e la sconfitta. Tutte cose che guardando il nostro campionato non ritrovo più. Come William Vecchi: l’unica figurina mancante per completare l’album del Cagliari campione d’Italia. Come il Leicester. Che, dalle nostre parti non c’è. E da molto tempo. Manca il Leicester e Giggiriva e non è poco, credetemi.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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