Proprio mentre infuria il dibattito sulla nuova legge urbanistica e sul possibile via libera ad altro cemento sulle coste, mi è capitato di leggere un significativo scambio di battute sulla bacheca Facebook di una sarda di fede indipendentista. Il post nasce dalla foto di un albergo costruito in riva al mare, nella zona di Capo Caccia, ad Alghero. L’immagine è chiosata con un invito ad usare le bombe “contro posti come questi”. Non c’è bisogno di interpretare il pensiero di chi ha scritto: disgusto per il cemento sul mare, per la devastazione ambientale e speculazione ad opera dei soliti predatori venuti da lontano, secondo un cliché ben noto. Solo che poi, su quella stessa bacheca, è intervenuto un altro contatto, anche questo di fede indipendentista. Per far notare che quell’albergo di Alghero è stato progettato da Antonio Simon Mossa, uno dei miti dell’indipendentismo sardo. Gelo in sala, avrei scritto se si fosse trattato di una situazione imbarazzante accaduta durante un convegno. Già, perché l’albergo El Faro di Capo Caccia è una creazione di quel celebrato intellettuale che è Simon Mossa. Il quale, in quegli stessi anni, aveva iniziato una collaborazione (poi interrotta) con l’Aga Khan alla stesura del piano di sviluppo edilizio della Costa Smeralda. In quegli stessi anni, Simon Mossa progettò in Gallura diverse ville e un altro albergo sulla spiaggia, l’Abi D’Oru di Marinella, in Comune di Olbia, oggi appartenente alle proprietà immobiliari di Sergio Zuncheddu. Dunque, la certezza che ogni grumo di cemento sul mare sia frutto del solito predone stranieri casca miseramente. Ma casca miseramente anche la certezza che sia pura speculazione ogni intervento edilizio sulle coste. Si può liquidare un indipendentista vero come Simon Mossa a cementificatore senza scrupoli? Certo che no. Era uno che lottava per creare lo Stato sardo, per sottrarlo all’egemonia culturale ed economica italiana: le sue azioni professionali non potevano che essere coerenti con queste fondamenta ideologiche. Forse occorre rivedere certi giudizi tagliati con l’accetta. Fermo restando che oggi aggiungere cemento su litorali già abbastanza compromessi sembra operazione autolesionista, ci si deve chiedere come mai, oltre cinquant’anni fa, uno come Simon Mossa ritenesse necessari alberghi sul mare. Qualcuno risponderà: perché allora erano consentiti dalla legge e perché non esistevano ancora strutture ricettive. Non credo sia solo questo: un intellettuale come Simon Mossa sapeva andare oltre le formali prescrizioni della legge e all’occorrenza fermarsi molto prima, se spingersi al limite non fosse servito al territorio. Credo che un architetto come lui ritenesse che tutto può essere calibrato, col buon senso e un calcolo attento delle esigenze della comunità. E quegli alberghi, allora, servivano. Sul mare si possono costruire cose garbate limitando la devastazione ambientale, così come si possono erigere le più che discutibili villette a schiera di Olbiamare, di Portisco, di Poltu Cuatu o di Cala Romantica e Cala del Faro. Speculazione ed interventi mirati sono cose diverse. Non tutto quel che è stato costruito a meno di trecento metri dal mare va bollato come scempio. L’autorevole Simon Mossa, a mio parere, lo dimostra.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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