Un giorno, abbandonata la fallimentare lettura dei classici, un amico libraio, che andavo spesso a trovare per scegliere il libro da sostituire agli ormai datati Simenon, mi diede inconsapevolmente una mano nell’invertire da subito il rapporto didattico con la mia classe. Porgendomi un libro sottile e multicolore, senza tanti fronzoli mi disse: “Perché non fai leggere ai tuoi ragazzi questi racconti sui bambini della Siria?“ Detto fatto. Se l’idea mi colpisce, non ho bisogno di tanto tempo per decidere, e quest’idea mi ha subito convinto, senza condizioni. Finalmente vedevo un’ideale alternativa alla lezione tradizionale. Proposi il progetto alla classe e non ricevetti alcun commento negativo. Era un buon inizio. Ora sarebbe toccato a me rendere stimolante la lettura di quel testo per loro ignoto. Da due anni era cominciato quel terribile e complesso conflitto che stava distruggendo una delle più belle e civili terre del mondo. Per una settimana guardammo diversi documentari sulla Siria… Leggemmo della prima, legittima ribellione ad Assad… Comprendemmo che questa, ben presto, era diventata un pretesto per le mire assolutiste dei Gruppi fondamentalisti islamici… Assistemmo alla distruzione di Aleppo, meravigliosa città protetta dall’Unesco per i suoi antichi mercati, i suq, le moschee… Imparammo il significato della parola cecchino, padrone delle periferie di Aleppo, il simbolo di una certa parte di questa strana guerra in Siria, una strana creatura, un camaleonte che si adatta a questi scheletri di palazzi sventrati, irriconoscibili, anonimi, dove può vivere in simbiosi con i nidi abbandonati dalle famiglie fuggite dai bombardamenti del Regime… I ragazzi mi seguivano e io non credevo ai miei occhi. Non sapevo spiegarmi il motivo di quella veloce evoluzione e invece avevo la soluzione lì, davanti a me. Nel principale racconto dell’antologia (Tutto ciò che muore, di Alberto Gherardi), il protagonista era proprio un cecchino… Era proprio lui a scovare il corpo martoriato, immobilizzato di un vecchio professore siriano, colto e pacifista, che tentava di interromperne la cieca ferocia distruttiva. A metà del racconto Laura si offrì di leggere, spedita, quasi un’interpretazione, la sua, a cui il libro piaceva sempre più, ma improvvisamente avvertii uno strano vociare… Mi girai e vidi i maschi che parlottavano fittamente, si confrontavano, litigavano quasi sulle cifre e le posizioni dell’arma da tenere nell’incavo della spalla… “E’ una mitraglietta… no, è un fucile… io lo so, mio padre è poliziotto…“ Mi fermai e dissi loro che forse non avevano colto il senso del racconto, dove il segreto della pace non stava nei fucili ma nei libri. Per un attimo temetti di essere ricaduto nell’equivoco scaturito dalle lezioni sui classici. Loro invece si voltarono e quasi si scusarono, mi corressero, mi dissero che la loro era una semplice discussione sui termini, imparati in mille sessioni di gioco sulla playstation, ed erano in grado di dirmi tutto sui cecchini e sul rito del prendere la mira, proprio come nel passo appena letto del racconto. Questa volta sembrava che avessi fatto centro, se, in fondo, scopo della lettura è anche questo, riconoscersi nelle parole dell’altro, lo scrittore, che a sua volta aveva colto nel segno se aveva catturato a tal punto l’attenzione dei ragazzi. “Tutto ciò che muore, paradossalmente, è una riflessione sul senso pieno della vita e sull’importanza del seguire la propria strada sino in fondo. Sia il vecchio che il cecchino alla fine vincono pur perdendo qualcosa. Il male non avrà mai fine, sa che perderà qualche battaglia ma non la guerra. L’uomo che vive alla ricerca di un senso perderà la propria vita ma alzerà di un pizzico la tacca di civiltà dell’umanità…” Avevo parlato quasi in trance, trasportato dalla soddisfazione per un risultato intravisto, ma i ragazzi ascoltarono in silenzio e il più concentrato era proprio Ahmed. Gli altri non dicevano una parola, in una sorta di miracolo che soltanto l’entusiasmo suscitato nei ragazzi di fronte a una sfida riesce a determinare. Ma la lettura continuava… Il tentativo del vecchio professore pacifista falliva, il cecchino snobbava un avversario troppo debole per scalfire la fredda determinazione del suo sniper rifle… ma il vecchio continuava ormai sfinito, a tirare briciole di calcinacci sulla spalla del cecchino nell’inutile tentativo di fermarne la furia omicida… “Cosa vuoi fare, fermarmi?”, gli sillabava in faccia il professionista della guerriglia… “Puoi farlo tu. Da solo. Se vuoi”, gli rispondeva il vecchio ormai agonizzante. E la lotta continuava, silenziosa, sino a spingere il cecchino ad alzarsi e scegliersi un luogo lontano da quel vecchio fastidioso. Era un attimo, prima che il vecchio chiudesse gli occhi, un attimo in cui l’illusione della pace rimaneva sospesa. Oggi, dopo cinque anni di atroci sofferenze, quella pace sembra finalmente raggiunta, e mi chiedo, per l’ennesima volta, che fine abbia fatto quel cecchino. Avrà combattuto fino all’ultimo respiro, sarà morto in uno dei tanti attacchi aerei russi o sarà stato catturato dai soldati governativi? Poi guardo le immagini della città liberata, ancora ferita, ma viva, e capisco, per la prima volta dopo cinque anni, che non è più importante rispondere o tentare di rispondere a questa domanda…
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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