La morte di Fred Bongusto, oltre a provocarmi un pizzico di malinconia, mi ha fatto pensare al Lido Iride di Platamona e ai forti limiti progettuali della classe politica e imprenditoriale del Sassarese negli ultimi tre o quattro decenni. Cosa c’entra Platamona con il vecchio Fred? Questa inserzione l’ho letta qualche anno fa su un giornale del luogo: “Siete di Senigallia? Abitate lì vicino? Avete sempre sognato di sposarvi sulla celebre rotonda che ha fatto sognare tanti innamorati? La famosissima struttura che ha ispirato la canzone di Fred Bongusto sarà aperta per i matrimoni civili compatibilmente con gli altri eventi che vi si svolgono…”. In parole povere: mille euro a matrimonio per “custodia, pulizia e sorveglianza”, poi c’era la grana da sganciare al wedding planner (che pare sia una delle attività stranamente più lucrose in un’era di crollo demografico). E nonostante questa stoccata di prezzo, le prenotazioni per i fine settimana disponibili si sono esaurite poco dopo la pubblicazione dell’annuncio su emittenti locali e carta stampata. Lo potevate trovare sino a pochi anni fa anche sul sito del proprietario. Cioè il Comune di Senigallia. Forse c’è ancora, guardate, così vi fate un’idea di che razza di guadagni – in senso volgarmente materiale – abbia prodotto dal 2006 in poi la riapertura di quello stabilimento sulla costa adriatica. Già, perché questa storia dei matrimoni è soltanto l’aspetto più folcloristico dell’affare. Poi ci sono anche le serate dancing, le esposizioni, le rappresentazioni teatrali, i convegni, un mucchio di concerti, eventi gastronomici, sfilate di moda.
E pensate che la Rotonda sul mare di Fred valga molto più del lido Iride di Platamona? E’ più anziana di una quindicina di anni. Ma alla fine la dignità architettonica delle due strutture si equivale. In quanto al valore storico – cioè il radicamento nella cultura della popolazione del luogo –, forse l’Iride è superiore. La vera differenza riguarda probabilmente le classi politiche e imprenditoriali delle due località. A Senigallia nessuno si sognò di gridare “buttiamola giù” quando, negli anni Ottanta, i cambiamenti di gusto dei turisti e l’avanzare delle discoteche decretarono la fine degli anni d’oro della “villeggiatura”; e delle serate con Bongusto, Gino Paoli, Mal o Franco Califano. La Rotonda rimase lì, rispettata come bene della memoria di tutti e occhieggiata come potenziale affare. Sino a quando, nel 2006, venne riaperta con una due giorni di festeggiamenti rimasta nella storia di quelle coste e dopo un restauro finanziato con cinque milioni di euro dal Comune, dalla Regione Marche e dalla Ue. Un progetto (“basato su un fedele ripristino” come si legge nella relazione) che attribuiva alla struttura la funzione di bene pubblico “accessibile liberamente come luogo di incontro” e insieme quella di promozione turistica del territorio. E, va da sé, sede richiestissima dai privati: organizzatori di eventi che convogliano quattrini subito utilizzati per la gestione stessa della Rotonda, sapientemente promossa a ruolo di monumento vivo e attivo.
La storia dell’Iride è diversa. Venne chiuso negli anni Ottanta, come la Rotonda di Senigallia e per gli stessi motivi. Ma se erano globali i mutamenti di gusto nel campo del turismo e dell’intrattenimento, non lo erano evidentemente gli atteggiamenti nei confronti dei beni storici. Si cominciò quasi subito a chiedere l’abbattimento del “rudere”, definito tale quando ancora sarebbe bastata una mano di vernice. Alla fine a proteggerlo restò soltanto la soprintendenza, protagonista nel 2010 di una improvvisa marcia indietro.
Resta un vincolo paesaggistico. Ma soltanto un vincolo di carattere storico-architettonico avrebbe legato qualsiasi progettista a un ripristino o a una ricostruzione basati sull’esistente e sul progetto originario. Un vincolo paesaggistico è molto più generico: si può infatti inventare un manufatto diverso dal lido ma compatibile con il paesaggio.
L’Iride è un cumulo di macerie, ormai. Ma non restano soltanto i ricordi del suo splendore, restano anche le sue volumetrie, preziose in tempi di discipline urbanistiche in cui il cemento vicino al mare è un affare sempre più difficile, nonostante tutti i tentativi di tornare ai tempi del far west del mattone sul mare. Quella di Sorso è poi un’amministrazione alle prese con l’eterno problema di una sproporzione tra il numero dei cittadini e quello dei fruitori del territorio comunale. L’unico modo di controllare il territorio costiero è quindi quello di un sistema di stabilimenti balneari. Come intuirono molto bene negli anni Cinquanta il sindaco di Sassari Oreste Pieroni e Salvatore Cottoni, la più interessante personalità politica di Sorso. Il primo creò Platamona, l’altro accettò un fortissimo insediamento sassarese sul territorio del suo comune, pilotando la trasformazione e creando un ingegnoso sistema di infrastrutture. Il Lido Iride fu ideato in questo contesto: costruito nel territorio di Sorso dal sassarese Sebastiano Pani e utilizzato, dalla nascita alla morte, quasi esclusivamente da sassaresi. Si pensi che il permesso di edificare non venne dato dal Comune di Sorso, ma fu una generica “concessione” del Consorzio di Platamona (Sassari-Sorso-Porto Torres) presieduto dal sindaco di Sassari Pieroni. Il progettista che firmò l’opera era il geometra Giuseppe Melis, ma c’è il sospetto che il disegno – sintesi tra l’eleganza di linee degli anni Quaranta e alcune coraggiose soluzioni in voga nel decennio successivo – fosse stato in qualche modo ripreso da opere già esistenti sulle coste del Mediterraneo e da riviste specialistiche. C’è chi sostiene che il vero autore potrebbe essere stato l’architetto Vico Mossa. Ma è poco probabile: sembra infatti che tra lui e l’imprenditore Pani in quegli anni non ci fossero rapporti troppo stretti.
Resta il fatto che si tratta dell’unico manufatto di valore realizzato in quella zona. Un esempio prezioso dell’architettura di un periodo significativo della nostra storia che ora, se non fosse ridotto a macerie, varrebbe tanto oro quanto pesa.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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