Le immagini che arrivano da Barcellona fanno paura. La polizia spagnola ieri è intervenuta in varie località della Catalogna, pestando a sangue dei cittadini inermi che erano lì per votare. Altrove, per rispondere, gli elettori hanno riempito le strade di accesso ai seggi. Attraversare quel muro avrebbe richiesto una dose di violenza forse eccessiva per lo stesso Rajoy. Vedremo.
Semplificare è rischioso ma quando compaiono i manganelli e il sangue scorre, non ci si può girare dall’altra parte; non davanti alle ferite delle persone inermi, che ci indicano che la politica è sospesa, la democrazia è sospesa, la sacralità di ogni costituzione, anche la più illuminata, è sospesa. E che la sospensione è avvenuta in modo sproporzionato.
Il pericolo era il referendum in sè? In Scozia un referendum analogo ha visto prevalere gli unionisti. Soprattutto però ha visto prevalere la politica e quel modo civile di affrontare i passaggi difficili, altrimenti detto “democrazia”. O il pericolo, annunciato dai sondaggi, era un responso “scandaloso” come l’indipendenza catalana? Mi chiedo allora se non sarebbe stato più utile e intelligente, nell’interesse stesso di una Spagna unita, lasciare la parola alla politica e far tacere la polizia.
La democrazia non è un’istituzione, ma è il modo con cui certe istituzioni stanno al mondo. La monarchia è un’istituzione, la repubblica è un’istituzione, la democrazia invece è un’anima (o un abito) che può incarnarsi in un’istituzione, o anche no.
Una monarchia, ma anche una repubblica, può smettere di essere una democrazia da un momento all’altro. È sufficiente un governo che in momenti difficili faccia confusione, anche arbitrariamente, tra mezzi e fini. È successo in Italia al G8 di Genova, succede in Israele nei confronti dei cittadini palestinesi, sta succedendo in Catalogna in queste ore.
Nel caso della vicenda catalana qualche spettatore, dal suo calduccio che potrebbe sembrare scontato ma che scontato non è, si è sbilanciato a favore del governo Rajoy e della polizia, dicendo che quel referendum è illegale e che pertanto la ragione sta soprattutto da una parte e poco o nulla dall’altra. È pericoloso appellarsi alla legalità in questi casi-limite. Il rapporto tra legge e democrazia non è scontato. Erano leggi anche quelle razziali di Mussolini, è legge la pena di morte in alcuni Stati democratici, è legge anche la Bossi-Fini. Ed è illegale chiedere l’elemosina per strada, vendere merce taroccata girando tra gli ombrelloni e rubare per far mangiare i figli. Sono tutti casi limite, ma è sui crinali difficili che si misura la capacità di una democrazia di stare in equilibrio; stare in equilibrio da sdraiati è una cosa che sappiamo fare tutti.
C’è una cosa tra le righe, nei commenti di chi sostiene le ragioni del governo spagnolo e biasima le istanze indipendentiste: è l’idea che certe cose non possano e non debbano cambiare. Provo a dirlo meglio: sembra che per molti non siano le regole a dover descrivere la complessità del reale, ma che debba essere quest’ultima ad adeguarsi a modelli e istituzioni. Tutti sanno, in teoria, che le cose vive, compresi gli stati, comprese le democrazie, compresi soprattutto i popoli, cambiano col tempo e diventano altro da ciò che erano. Sembra però che quando questi cambiamenti si presentano, sia più facile leggerli come frutto di manipolazioni e strumentalizzazioni interessate che come fenomeni collettivi a tutto tondo, che invece sarebbe fondamentale capire. Vale per la Brexit, vale per la vittoria di Trump e vale soprattutto oggi, per l’istanza indipendentista catalana.
Questi cambiamenti sfuggono a previsioni troppo analitiche (non credo che nessuno abbia le idee chiare su cosa succederà in Catalogna nelle prossime ore o settimane) e sfidano gli schemi di normale funzionamento delle istituzioni. Ma sono maledettamente reali, possono succedere e succedono, in barba al bisogno di stabilità che ci accomuna un po’ tutti. Abbiamo pochi strumenti veramente validi per affrontarli quando si presentano; il più nobile di tutti si chiama Politica: ieri, in quei calci, in quelle ferite lacerocontuse, in quel sangue misto a capelli bianchi è morta innanzitutto lei. Perché muoia anche la democrazia, basta veramente poco.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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