Caro Bruno, Scrivi su Facebook che in questo momento “c’è un gran bisogno di silenzio”. Lo penso anche io: abbiamo esagerato tutti, per quanto mi riguarda ho scritto cose che forse mi sarei potuto risparmiare. Immagino che le tue parole siano sgorgate da un animo prostrato, esasperato dai toni di questi giorni. Le apprezzo. Il silenzio servirebbe a riportare la calma, a liberarci da questa spirale di polemiche, repliche, litigi e minacce, a spegnere questa guerra civile combattuta via social. Però questo gran fracasso era inevitabile: che si stesse di qua o si stesse di là, abbiamo avvertito tutti che il momento era maledettamente serio, come pochi ne avevamo visti nella storia della nostra Repubblica. Allora io ti chiedo, caro Bruno: è giusto stare in silenzio davanti a chi augura al Presidente della Repubblica di morire nello stesso modo violento con cui mani assassine avevano stroncato la vita del fratello Piersanti? È giusto rassegnarsi alla violenza di chi la bocca te la vuole tappare con la violenza, di chi non vuole il silenzio ma spera che l’altro non sia più in grado di parlare, perché fisicamente impedito o perché sotto minaccia? No, tacere in questi casi sarebbe colpevole. Stiamo discutendo del funzionamento dello Stato, la cosa più alta che abbiamo, non di un rigore dato o non dato su un campo da calcio. Dentro lo Stato ci sono secoli della nostra storia, la coscienza che il destino non si crea da sé ma grazie alle parole, alle opere e anche alle omissioni dell’uomo. È una meraviglia la democrazia e qualche volta va difesa anche accettando la sfida delle parole. Il silenzio può essere pace, altre volte può essere solo morte su un campo bombardato. Poco fa discutevo con un amico, proprio su Facebook. Lui prendeva le difese del giornalista Marco Travaglio, io lo criticavo. Mi sono ricordato che molti anni fa, parlando dello stesso giornalista, avevamo litigato. Con una piccola differenza: eravamo su posizioni opposte. Io difendevo Travaglio, lui lo attaccava. Si cambia idea nella vita, altre volte sono le idee che cambiano. Forse bisognerebbe essere tutti un po’ più cauti, anziché sguainare subito la spada. A meno che qualcuno non voglia fisicamente impedirci di esprimerle quelle idee, per quanto precarie e mutevoli. “A brigante, brigante e mezzo” diceva Sandro Pertini.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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