Il Billionaire è a dieci minuti d’auto dal posto di lavoro di Giulio e Carlo. Le spiagge di Porto Cervo idem. Giulio ha trentuno anni, Carlo ventotto. “Giulio, quante volte sei andato in discoteca negli ultimi due anni?”. Risposta: “Zero. La discoteca per me non esiste”. Perché il posto di lavoro di Giulio e Carlo non ha orari, né ritmi fissi o cadenze regolari. Apre prima che il sole sorga, chiude quando tramonta. Vive della luce del giorno, rubacchiando qualche minuto dai primi bagliori dell’alba e strappando alla notte gli ultimi chiarori.
Giulio e Carlo vivono del lavoro della terra. Per scelta, consapevole e meditata. Si sono conosciuti pochi anni fa per caso, “i nostri genitori erano colleghi di lavoro”, hanno messo sul piatto i rispettivi progetti e hanno scoperto, con sorpresa, che coincidevano. Da qui la decisione di unire le forze. Giulio Farina ha una compagna e due figli. Ha lavorato nel settore dell’idraulica, ma la cultura dell’orto l’ha sempre avuta nel sangue da quando era un bambino, educato alla terra dall’esempio del nonno. Carlo Del Prete è figlio di un romagnolo e di una campidanese, ma ha un nettissimo accento bassogallurese. Ha studiato ingegneria al Politecnico di Torino e si sente. Dal rigore scientifico con cui calibra gli aggettivi, né una parola in più né una in meno di quanto necessario per esporre uno stato, una condizione, un’emozione.
Mi chiedono il perché del mio interesse per la loro storia, dato che nessuno li ha mai degnati di attenzione mediatica. Rispondo: “Non è cosa di tutti i giorni sentire che due ragazzi trentenni decidano di fare i contadini, nel Comune della Costa Smeralda dove tutti dovrebbero lavorare in alberghi, bar e ristoranti”. Replica: “Noi non abbiamo intenzione di vivere di lavoro stagionale e, soprattutto, volevamo restare in Sardegna. Questo lavoro, per duro che sia, ce ne sta dando l’opportunità”. Non hanno preso un centesimo di finanziamento pubblico, ma non escludono l’eventualità nel caso in cui le condizioni, in futuro, fossero vantaggiose. Ma Carlo è scettico: “Prendere finanziamenti pubblici ti lega le mani, ti costringe a lavorare per pagare debiti”.
Coltivano sei ettari attorno ad Arzachena. Compro da loro una cassetta di verdure, chiedo siano loro a scegliere il meglio della produzione stragionale: carciofi, broccoli, radicchio, finocchi, cavolfiori, cavolo nero, cipollotti. Carlo riempie il contenitore con delicatezza, col rispetto e l’attenzione dovuti al frutto del lavoro quotidiano. Sei ettari. Metà di questi sono un rettangolo sfiorato dalla circonvallazione urbana sulla direttrice Arzachena-Costa Smeralda. Lo hanno acquistato, grazie al sostegno delle famiglie: “Un investimento su qualcosa in cui crediamo profondamente”, spiega Carlo. Lì incontro proprio qui. La gente va e viene dentro la casetta di legno, il luogo è molto visibile e il traffico della bretella porta un flusso costante di clienti. Ognuno prende la cassetta e la riempie come crede, facendosi consigliare di tanto in tanto dai titolari. Attorno al campo coltivato circola un giovanotto nero dalle treccine rasta: si chiama Joshua, è nigeriano, è regolarmente assunto attraverso la Coldiretti. “Assumiamo altri lavoranti, in estate, quando occorrono braccia”, precisano. “Quindi l’idea funziona?”, chiedo. “Abbiamo riscontri positivi, il lavoro non manca mai. Noi offriamo i nostri prodotti ai grossisti, purché le condizioni commerciali siano dignitose. Certo non abbiamo quantità tali che consentano forniture costanti, perché noi rispettiamo la stagionalità, i tempi della natura. Tutto quel che coltiviamo è alimentato con concimi organici biologici certificati. Chiaro che in altri luoghi si produce a costi molto inferiori, si usano sostanze che in Europa sono vietate e chi lavora nei campi non percepisce gli stipendi e i contributi che io pago a Joshua. Ma tant’è”. E il rapporto con la Costa Smeralda, com’è? Si sente fin qui il respiro del piano di sviluppo integrato, quasi sessant’anni dopo la nascita di quel mastodonte che avrebbe dovuto dare slancio alle attività del territorio, come quella di Giulio e Carlo? È ancora “un volano”, per usare un’espressione cara al candidato in campagna elettorale?
“In realtà no”, ammette Carlo. “Un ristorante ha una lista fissa di piatti che non possono prescindere da certi ingredienti. Noi non sempre abbiamo quel determinato prodotto da offrire allo chef, perché è la natura che comanda. E noi non la forziamo mai. Perciò, se quel piatto prevede l’ingrediente zucchina in un periodo in cui noi ne siamo sprovvisti, noi restiamo tagliati fuori da quel mercato e il ristoratore di rivolge ai grandi produttori marocchini o spagnoli. Ed è inutile fare il discorso sulla stagionalità e sulla qualità, perché al cliente non interessa: vuole quel piatto e basta. Lo dico senza polemica: fossi nel ristoratore, farei lo stesso”.
Ecco, non c’è vittimismo in questi ragazzi, nessuna lagna da martiri delle campagne, né i loro discorsi tradiscono l’amarezza di una qualche condizione svantaggiata per colpe altrui. Prendono atto di un tempo in cui la qualità soccombe quasi sempre al prezzo, ma la sfida li esalta. “Le nostre famiglie mangiano ciò che produciamo noi, ed è una grande soddisfazione, anche considerando che in Sardegna produciamo un decimo di quanto consumiamo”. Carlo parla da scienziato e poeta: “La natura ti offre colori diversi per stagioni diverse, quelle vitamine in un certo periodo dell’anno e altre dopo. La somma, nel complesso finale, ha un equilibrio ineguagliabile”.
A che ora iniziano, dunque, le giornate di Carlo e Giulio? “In estate alle quattro del mattino, prima che il sole sorga. Si valuta il campo, si procede al taglio, si chiamano i grossisti per piazzare il prodotto. Le giornate non sono mai prevedibili ma non finiscono comunque prima delle 22.30”, riassume Giulio. Il problema più serio? “L’acqua. La nostra è quella della diga, ma le reti sono vecchie e disastrate: qualche volta siamo finiti allagati, altre volte a secco”. Ma c’è anche una piccola fortuna: la produzione di miele di una ragazza francese, nella tanca confinante. “Gli impollinatori non ci mancano”, sorride Carlo. Il discorso cade su un discount vicino, dove io vado spesso a fare la spesa. “Difficile far capire alla gente che esistiamo anche noi, quando in un ipermercato trovi tutto quel che serve concentrato in pochi metri e costa meno. Dobbiamo imparare a vendere meglio quel che sappiamo fare”. Faccio un rapido calcolo e assumo un impegno con me stesso: il loro campo dista da casa mia quanto i vari supermercati del paese, ma da oggi penso sia giusto per me e per loro comprare la verdura da Giulio e Carlo. Li ammiro. Sono una generazione vent’anni più giovane della mia, ma rispetto alla mia libera dell’illusione che ogni problema si potesse risolvere col piccolo impiego stagionale in Costa. E libera dal pregiudizio di vedere la terra come un ripiego, una mortificazione, unghie sporche e fatica. Della terra e di chi ne prende cura non possiamo fare a meno. Bello che a capirlo siano dei ragazzi che considerano un privilegio poter assistere all’alba, ogni giorno. E pazienza se il sacrificio è non vedere mai le luci del Billionaire.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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