Il mare osserva muto quelle parole che si arrotolano in un vento flebile che accarezza la riviera. I fiori ci sono sempre e ravvivano i colori di una festa che non ci sarà. O comunque è destinata ad essere diversa. Le canzoni serviranno da abbraccio in un festival dove è vietato urlare, dissentire, applaudire, pensare al complotto ed esternarlo all’interno della platea del teatro Ariston. Tutto chiuso, come le grandi manifestazioni da quasi un anno a questa parte. Sanremo senza pubblico non è Sanremo, dicono. E neppure una partita di calcio nel vuoto degli stadi lo è. Ma da quelle parti si continua. Business is business. E tra l’amore cantato, tra i papaveri e le papere, tra volare e chi non lavora non fa l’amore, tra trottolini amorosi e scimmie che ballano il silenzio della platea sarà il protagonista assoluto di un’edizione che si riempirà solo di melodie contemplative. Forse è meglio così, forse è necessario che il popolo si prenda una pausa di riflessione. Così come allo stadio nessuno più urla “arbitro venduto” o “chi non salta dell’altra squadra è”, anche a Sanremo non ci sarà chi dissentirà per la vittoria di Povia a vantaggio della bellissima canzone dei Nomadi nel 2006 (ero tra quelli) e neppure osannerà le giurie per l’incredibile primo posto di Simone Cristicchi con “Ti regalerò una rosa” l’anno successivo. Le canzoni sono il pentagramma della nostra esistenza, il marciapiede dell’essenza, sono note che ci accompagnano e misurano il senso della vita. Possono piacere e non piacere, possono irretire, far sognare, innamorare, arrabbiare. Le canzoni sono vive e sono vita. E la gara, la competizione, fa parte delle piccole gioie quotidiane: abbiamo quasi tutti la squadra del cuore, il nostro campione preferito, l’attore o l’attrice, il giornalista e lo scrittore, il tennista e lo sciatore. Siamo divisivi per natura. Io, per esempio, amo alla perdizione il Palio di Siena per quanto accade prima che il mossiere decida la partenza. E’ adrenalina pura, voglia di partecipare e di scommettere. Sanremo è anche questo. Un qualcosa da non prendere troppo sul serio ma adatto alla sopravvivenza. A vivere nel minimalismo spicciolo, nel credere che una canzone ti possa modificare qualche minuto della giornata, ti possa far sorridere e ricordare. L’alchimia di un Festival amato, odiato, discusso, dimenticato, snobbato è tutta in poche note musicali: sono sempre sette ma riescono a far ballare l’universo. Ci sono canzoni che son passate su quel palco e hanno disegnato attimi della mia esistenza, come della vostra. Anche “Ci sarà” di Al Bano e Romina Power ha un senso vista dalla torre della curiosità. Come “Dietro la porta”di Cristiano De André, “Signor tenente” del compianto e bravissimo Giorgio Faletti, “Gente come noi” di Ivana Spagna e forse, dico forse, ha un senso anche la canzone orribile che Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici cantarono (con molte stonature) in un Sanremo dove vinse Valerio Scanu. Era il 2010, non una delle migliori edizioni. Non era, come i vini, una grande annata.I radical chic, a frotte, diserteranno il Festival preferendo alle canzonette un bel libro di Joyce. Non credeteci. Ho conosciuto davvero pochissime persone che hanno letto l’Ulisse. E pochissime che lo hanno amato. Ovviamente non sono tra questi. Mi ritorna in mente l’ultimo festival quando il Covid aleggiava ma tutti facevamo finta di niente. Era lo scorso anno e vinse Diodato con una ispiratissima canzone che potrebbe essere la colonna sonora di questo silenziosissimo Sanremo 2021: “Fai rumore”. E’ la musica che vince sulle parole o viceversa. Non si è mai capito. Come non si capisce perché mai una persona adulta, seria, posata dovrebbe fare la collezione di Dylan Dog, o è un consumatore seriale dei libri di King, o urla a dismisura per un gol di Messi o canticchia, con una buona dose di felicità “poi dolce vita che te ne vai, sul lungotevere in festa”. Valli a capire gli adulti, sempre pronti a giocare come i bambini. E all’interno di questa leggerezza c’è tutta la maturità dell’uomo. Lasciate perdere tutto e ascoltate, in silenzio, Sanremo. Senza vergogna e senza ritegno. C’è sempre qualcosa di interessante da scoprire. Che a leggere l’Ulisse di Joyce c’è sempre tempo. Fidatevi.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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