La macchina del tempo oggi non è precisissima. Mi porta a un generico inverno molto freddo nel quale si parlava della pericolosità per il territorio di alcuni detenuti speciali in un carcere speciale. Le differenze rispetto ai giorni nostri sono che il carcere non era quello di Bancali (luogo che se allora mi avessero detto destinato a ospitare un carcere mi sarei messo a ridere come se mi avessero detto che Beppe Grillo sarebbe diventato un potente leader politico) ma dell’Asinara e i detenuti non erano terroristi islamici bensì mafiosi di ostentata e non so quanto coerente fede cristiana. Il populismo c’era anche allora, come c’è sempre stato dai Neanderthal, ma non c’erano i social e quindi c’erano solo i giornali e i giornalisti che, se è vero che alle volte esercitavano una oggettiva e non sempre debita censura su certi umori, più spesso facevano da setaccio mettendo da una parte le cazzate e dall’altra le cose da prendere in considerazione. In quei giorni d’inverno mi trovai nell’imbarazzo di non sapere in quale dei due mucchietti mettere il problema dei mafiosi all’Asinara denunciato da alcuni politici in termini di allarme contagio per il territorio. Io per principio, sul lavoro, non mi fidavo di nessun politico e di certi poi mi fidavo quanto di un signore che ogni notte mi chiamava dal telefono a gettoni dell’astanteria psichiatrica per dirmi: “Anche oggi quella bastarda dell’infermiera ha tentato di uccidermi” (tentativi esperiti sempre in modi diversi, alcuni dei quali piuttosto elaborati e con malcelati sottofondi freudiani, per non dire porcaccioni). E questa storia dei detenuti mafiosi pericolosi per il territorio la volevo verificare con particolare accuratezza perché i politici che la cavalcavano mi sembravano di una razza nuova, trasversale, un vizio nascente che non riuscivo a mettere a fuoco e che sfuggiva ai tradizionali meccanismi e linguaggi dei partiti di quei tempi. Era in sostanza il neo populismo ai suoi primi vagiti ancora difficili da decifrare. Io allora per le analisi sui problemi di rapporto tra criminalità e territorio avevo, tra le altre, una fonte straordinaria. Era un dipendente dello Stato sul quale ho sempre avuto il sospetto che in realtà svolgesse anche incarichi diversi da quelli per cui era ufficialmente conosciuto. Incarichi, come dire, riservati. E non pensiate che in questa categoria, abituati come siamo a certe storie purtroppo vere di servizi deviati, ci fossero soltanto farabutti. C’era, e penso ci sia ancora, una stragrande maggioranza di onesti e soprattutto abilissimi servitori dello Stato. Questo che conoscevo io era in particolare un fine analista che mi aveva già dato informazioni per certi articoli sulla delinquenza nel Sassarese che mettevano l’accento sul fatto che il moltiplicarsi di estorsioni e intimidazioni agli esercenti, se non bloccato tempestivamente, poteva portare alla formazione di una criminalità organizzata alimentata dal declino di una classe imprenditoriale cittadina sempre più socialmente debole. Facendo quindi finta come al solito di ignorare la sua attività coperta, gli chiedi cosa pensasse di questa preoccupazione sui mafiosi che potevano importare i loro metodi sulle coste del Golfo dell’Asinara. Eravamo al bar. Mi disse: andiamo nel mio ufficio. Qui tirò fuori da uno schedario un faldone di centinaia di fogli con grafici e fotografie, lo spulciò e mi consegnò infine un blocchetto di una decina di cartelline pinzate di venti righe ciascuna -Non te le posso dare, né fotocopiare. Leggi qui, adesso, prendi appunti e restituiscimi tutto. C’era scritto in testa: “Relazione finale”. In due parole, era uno studio sulla situazione della criminalità nella costa nord occidentale della Sardegna compiuto su ordine di un imprecisato ente dello Stato. La sintesi era che la smodata, non programmata e disordinata urbanizzazione di certi tratti costieri avrebbe provocato fenomeni preoccupanti di micro e macrocriminalità. Ciò che è puntualmente avvenuto. E l’Asinara non c’entrava una mazza. Due lezioni. Una è che prima che dai nemici che vengono dal mare dobbiamo guardarci da quelli indigeni. L’altra riguarda i rapporti con il nostro Paese che dovrebbero essere improntati non soltanto ai diritti ma anche ai doveri. Ma questa è un’altra faccenda.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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