C’era il colore e il profumo diverso, una volta. Le vedi queste piante? Più verdi erano. E più vere. E lo sai quanto costava il latte? Una schiena rotta costava. Ma almeno quando tornavi a casa, quelle volte che tornavi a casa un sorriso lo tiravi alla famiglia. Adesso non si ride più anche se abbiamo i denti.
Lo vedi questo gregge? Cinquecento pecore che babbo ci ha campato e ci ha cresciuti. Il latte era bianco e vaporoso non come quello di adesso. Maledetto. Che nessuno vuole. Il problema è che non gira più l’America e che il pecorino romano non lo vuole più nessuno. E lo sai di chi è la colpa? Del colesterolo. Dicono che gli americani adesso non possono mangiare sale, che sono grassi e che costano troppo con le loro pance. Cazzate bello bè, te lo dico io perché non lo vogliono. E’ il gioco di altri giri, adesso al posto del pecorino romano vogliono piazzare il pecorino rumeno, che costa la metà. Perché io, da giovane, avevo l’asino e poi la motocicletta e dormivo la notte, vicino al gregge, al freddo. Mi coprivo sotto, mi coprivo. Oggi questo non c’è più e la sera torniamo a casa. I rumeni li abbiamo lasciati al freddo ed è per questo che si accontentano. Sono fermi a prima della motocicletta e, se lo vuoi proprio sapere, sono anche prima dell’asino. E non solo loro. La globalizzazione. Che in dialetto non esiste. Nella nostra lingua, insomma, mica c’è questa bestemmia, che vuol dire, al massimo, secondo me, fregatura. Poi me lo devono spiegare perché il mio latte e il mio agnello non vale niente e se vai in giro, se vai a Roma, a Genova, a Trieste tutti a chiedere l’agnellino sardo, quello buono. Minchiate sono. Minchiate. Dovevamo crescere e ci hanno costruito le fabbriche che ci è andato mio nipote. Tu ci sei andato in giro a Ottana e nei paesi vicino? Lo sai da dove la vedi la miseria e la disperazione? Dalle case che non sono finite. Che sono rimaste a cemento, che sono rimaste senza risposta. Come i padroni. Per me è finita la chimica e la fabbrica e noi siamo sui tetti ma non vinceremo. Troppo forti gli interessi. Ci dicono del federalismo. Cazzate anche queste. Le quote latte che si giocano al Nord e a noi nulla. Lo sai, alla fine quale è il vero problema? Non è che ci hanno tolto il latte o non ce lo pagano o ci daranno quattro soldi per starci zitti calpestando la dignità. No, ci hanno tolto la possibilità di regalare un racconto ai nostri nipoti. Cosa gli dico a Emanuele, il nipotino di otto anni? Che nonno è andato ad occupare la Regione? E per che cosa nonno? Per campare, per avere ragione. E lo sai cosa mi dice mio nipotino di otto anni? E perché non vai in televisione allora? Al grande fratello, per esempio, oppure a uno mattina? E perché nessuno gli spiega che ci hanno pasticciato la vita e il futuro? La soluzione? Facile. Adesso la vogliono da noi la soluzione. Ma io da piccolo mungevo pecore mentre loro mungevano soldi e costruivano sedie. E adesso io lo devo dire che hanno sbagliato l’approccio in Europa, che dovevamo partire diversi, che dovevamo avere il coraggio di scommettere sull’agricoltura e sul turismo sostenibile? Che dovevamo fare un parco della nostra terra e invece tutti a salutare, a stringere le mani da luglio a settembre. Beati voi che vivete in Sardegna. A lo sa cosa gli dico? Questa terra non ha bisogno di italiani che ci vengono a costruire il niente. Ma neppure dei sardi che hanno venduto il nostro futuro; anche loro dovrebbero andarsene da questa terra perché non è vero che i sardi sono tutti buoni. Balle sono. Dobbiamo sederci, davanti a queste piante e scusarci con loro, con la nostra acqua, le nostre pietre. Dovremmo prima vergognarci e poi stringere gli occhi e avere il coraggio di ricominciare. La volete questa terra per due mesi l’anno? E allora ve la dovete meritare. Da li partirei. Dalla Sardegna. E dai sardi, quelli veri. Mica gli indipendentisti che girano con le parole a raccontarci quanto sarebbe bello ad essere soli e a parlare la nostra lingua. Troppo facile sarebbe. Noi terra abbiamo e da quello dobbiamo partire. E dalla dignità. E se lo ricordi qualcuno: che anche le pecore sono roba importata e imposta. L’ho letto in un libro e c’erano scritte cose giuste. Ecco qual’è i problema: la cultura. Lo diceva Gramsci e l’abbiamo dimenticato. A partire dalla cultura sia. E vedrete che, a quel punto, non ci fottono più.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
Un rider non si guarda in faccia (di Cosimo Filigheddu)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Ciao a Franco dei “ricchi e poveri”. (di Giampaolo Cassitta)
La musica che gira intorno all’Ucraina. (di Giampaolo Cassitta)
22 aprile 1945: nasce Demetrio Stratos: la voce dell’anima. (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.020 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design