pubblicato il 14.1.2015
Oggi vi parlo di canne. Ma non solo. Sulla Nuova Sardegna di ieri comparivano molti articoli collegati tra loro. Due parlavano di chimica verde e di coltivazione della canna intorno a Portovesme per la produzione di bioetanolo. Nelle stesse pagine campeggiava l’ennesimo articolo sulle servitù militari e il difficile dialogo tra Regione e Stato. In mezzo, articoli sulla crisi dell’industria e sull’ennesimo grande investitore che tira i remi in barca e se ne va. Poco più avanti un articolo sui finanziamenti alle piccole imprese di varie zone individuate come Aree di Crisi. Contemporaneamente, il sito della Regione Sardegna parlava di “RURAL TRAINER”, un programma molto interessante di sostegno alle nuove idee per l’agricoltura. Ho letto tutto, ho dato una bella shakerata e ho realizzato un po’ di cose. 1) Quando si valuta una fonte energetica esiste un indice che si chiama EROEI. È un numero molto importante. È il rapporto tra la quantità di energia disponibile e la quantità di energia che è servita per renderla disponibile. Il calcolo non è semplice e non c’è uniformità di vedute quanto ad esso. Tuttavia capite bene che se questo numero è poco superiore o addirittura inferiore a 1 (uno), vuol dire che non si sta facendo un buon affare. Per capire. Quando iniziò l’estrazione del petrolio e i giacimenti spruzzavano oro nero solo a bucarli con uno spillo, l’indice EROEI del petrolio era circa 100. Vuol dire che bastava investire una certa quantità di energia per produrne cento volte tanto. Ora che i giacimenti sono meno accessibili, l’indice è sceso intorno a 10. La fusione nucleare ha un indice EROEI che varia a seconda della valutazione, ma si attesta comunque intorno a qualche decina. L’idroelettrico rende da 10 a 200 volte, l’eolico da 5 a 80, il geotermico può arrivare fino a 13, il fotovoltaico fino a 12 ecc. Il bioetanolo oscilla tra 0.6 e 1,8 a seconda della valutazione e del tipo di pianta da cui si estrae. Tra tutte le fonti energetiche sembra essere la meno conveniente. 2) La resa agricola a Portovesme dovrebbe essere intorno alle 10 tonnellate per ettaro, con un obiettivo di produzione di 80.000 tonnellate l’anno. Quindi, 8000 ettari. Anche se da qualche parte leggevo di numeri maggiori, intorno ai 13.000 ettari. Con la clausola che, per stare in piedi, l’intera filiera deve essere più corta di 70 km. Cioè, o si coltivano le canne a meno di 70 km da Portovesme, oppure si abbassa l’EROEI e si finisce sotto il valore 1. 3) La filiera sarebbe anche interessante, perché basata sulla canna comune, una pianta spontanea che può essere coltivata con acqua depurata, su terreni poveri ed eventualmente da bonificare e che, una volta lavorata produce degli scarti di lignina che verrebbero utilizzati per alimentare il ciclo produttivo stesso, facendo risparmiare sui costi energetici dell’impianto. Inoltre, trattandosi di piante e non di combustibile fossile, tutte le emissioni o quasi sarebbero a impatto zero sul ciclo dell’anidride carbonica nell’atmosfera, contrariamente a quanto avviene col carbone, il metano e il petrolio, che rilasciano carbonio sequestrato da milioni di anni nel sottosuolo. Ciononostante, EROEI resta pericolosamente basso. 4) Inoltre si parla di 300 posti di lavoro a impianto avviato e di 600 nella fase della costruzione e avvio, ragione per cui sindacati e politici fanno il tifo per questa ennesima avventura. Questo, per quanto mi riguarda, è un dato sospetto, più dell’EROEI basso. Sindacati e politici hanno sempre basato la propria ragione di esistere sui grandi aggregati di posti di lavoro, mentre hanno difficoltà a dialogare e occuparsi di imprese piccole e micro. Diciamo che mostrano incompetenza e questa configurazione (Politica, sindacati, grandi imprese) tende a emarginare di fatto i piccoli operatori, rappresentando un circolo vizioso difficile da rompere. Per una specie di controprova potremmo chiederci se il tessuto delle piccole imprese potrebbe giovarsi della produzione di bioetanolo in Sardegna, acquistabile magari a prezzo agevolato. Come per la produzione di altre forme di energia sul nostro territorio, ho il sospetto che non sia così.
In Sardegna abbiamo una specie di riflesso condizionato. Siamo anche capaci di cose pregevoli, come i bandi per il sostegno alle piccole imprese delle aree di crisi, o il programma “RURAL TRAINER” per il sostegno alle nuove idee in agricoltura. Poi però, arriva il pezzo grosso e gli stendiamo i tappeti rossi a prescindere. Come se non potessimo farne a meno e come se noi stessi non credessimo fino in fondo che il rilancio delle produzioni locali e il sostegno alle piccole imprese, possono fare da tessuto per iniziative più grosse. È più forte di noi: arriva il grande investitore non radicato nel territorio, ci promette un certo numero di posti di lavoro (per carità, ce n’è un bisogno pazzesco) e noi non capiamo più niente. Non capiamo che questa terra produce già tantissima energia, e ciò nonostante i suoi abitanti pagano più degli altri italiani per scaldarsi e viaggiare. Non capiamo che produciamo molto meno cibo di quello che consumiamo, pur avendo una quantità di territorio pro capite altissima, il tessuto socioeconomico e le risorse per produrre di più ed esportare anche di più. Sembra così che ci ispirino fiducia i grandi investimenti di capitali esterni (Poligoni militari, Infrastrutture finanziate da emiri, grande industria legata alla chimica) più che il sostegno al tessuto produttivo locale affinché cresca veramente e superi alcuni dei problemi che lo rendono poco competitivo fuori dalla Sardegna (trasporti ed energia soprattutto). Ad esempio, anziché appoggiare con squilli di trombe l’ennesima operazione cattedralesca sul filo del rasoio (e tanto più cattedralesca quanto più vicina a quell’EROEI pari a 1), perché non sostenere le piccole imprese locali con incentivi all’ammodernamento energetico? Magari con fonti più convenienti, come il mini eolico o il solare? Si dirà che le due cose devono essere compatibili e che servono entrambe. Io dico invece che non mi fido e che, se esistono alternative, così come si è detto no al progetto Eleonora, e per le ragioni per cui si è detto no, si dovrebbe dire no anche a un progetto che presenta margini di rischio così alti in termini di tenuta. Dire no. Almeno fino a quando non vi siano garanzie sufficienti (ma possono esistere?) nel caso in cui l’operazione andasse male sotto il profilo economico, occupazionale o ambientale. Come a Furtei. Come per l’Alcoa. Come a Ottana. Come a Porto Torres. Come per Meridiana. Come a La Maddalena. Eccetera.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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