Non ho mai amato la parola “caffettino” e neppure “insalatona”. Mi irritano. Come chi dice un momentino, un attimino, il ragazzo è carinino (ma che vuol dire?). Non mi piace chi mi dice: “dovrà farsene una ragione”, “è la vita”, “abbiamo altro a cui pensare”. Sono un purista e probabilmente un anziano, ma certe forme “moderne” dell’uso delle parole semplicemente non le sopporto. Se ad un bar entro e con gentilezza chiedo alla ragazza un caffè vorrei quello che ho chiesto. Non voglio un caffettino e neppure un’aranciatina. Pretendo un caffè e un’aranciata. Questa voglia di sminuire, di provare a gettarla in “simpatia” non l’ho mai capita. Mi ricorda quella bellissima frase “la signorina è incinta, ma solo un poco”. Ecco, noi italiani abbiamo questo strano modo di sdrammatizzare, rimpiccioliamo i problemi usando i diminuitivi. Così quando le cose vanno male ci salviamo con una “manovrina”, facciamo una trasmissioncina che ci parli dei problemini che ci sono in un paese dove la corruzione è a livelli altissimi e dove si insultano le persone perché decidono di fare un giorno di sciopero della fame a favore di un diritto sacrosanto come lo Jus soli. Smettiamola una buona volta di prenderci in giro e chiamiamo le cose con il loro nome e finiamola, soprattutto, di buttare sempre tutto in caciara con delle misere battutine (sarebbe ora che ci prodigassimo in terribili battute). Proviamo, almeno per un attimo (e non un attimino) ad essere seri. Amo il caffè e l’insalata. Che c’è di male? Viviamo in uno Stato o, visto che si parla sempre di soldi, in uno statino?
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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