Eppure si sapeva. Si sapeva da tempo. E non è che le ricerche scientifiche sulla natura cancerogena dell’amianto derivante da un suo trattamento senza alcuna cautela fossero tenute nel cassetto di qualche scienziato pazzo. Gli inglesi se ne accorsero nel 1930: diversi studi medici dimostrarono il rapporto diretto tra utilizzo di amianto e tumori. Poi, dopo quasi 15 anni, se ne accorse la Germania: esisteva un filo diretto tra Il cancro al polmone e il mesotelioma e l’inalazione di asbesto (l’amianto). E i crucchi si intestardirono proprio sulla faccenda; talmente tanto da vietarne la produzione e prevedere un risarcimento per i lavoratori colpiti.
Noi italici no, a noi andava bene e andò bene fino al 1992, quando – a seguito di numeri troppo alti di morti per l’asbestosi, tumori della pleura e carcinoma polmonare – diventò inevitabile promulgare la legge 257, quella che vieta la produzione e lavorazione dell’amianto. Produzione e lavorazione, ma non la vendita: business is business, anche nel bel mezzo della tragedia, evidentemente.
Ma fino ad allora l’amianto è stato utilizzato praticamente dappertutto: coibentazione di edifici, tetti, navi, treni; come materiale da costruzione per l’edilizia sotto forma di eternit; tegole, pavimenti, tubazioni, vernici, canne fumarie,tute dei vigili del fuoco; nelle auto attraverso vernici o nelle parti meccaniche; nei materiali d’attrito per i freni e nelle guarnizioni. Ma anche per la fabbricazione di corde, plastica e cartoni, ferri da stiro. E, last but not least, la polvere di amianto è stata utilizzata come coadiuvante nella filtrazione dei vini e nei ripiani dei forni per il pane e la pizza: “una capricciosa, due napoletane e una all’amianto, grazie!”.
Fino al 1992. Perché l’asbesto è bastardo davvero. Meglio, sono bastardi coloro che sapevano e hanno taciuto. Quelli che sapevano che la fibra di amianto, essendo circa 1300 volte più sottile di un capello umano, comporta l’assenza di qualsiasi soglia di rischio al di sotto della quale la sua concentrazione nell’aria non sia pericolosa. Dunque, nelle organizzazioni produttive dove esiste – necessariamente – un’esposizione prolungata nel tempo dei lavoratori alle polveri di amianto, l’assenza di cautele aumenta in modo drammatico la possibilità di contrarre l’asbetosi e le altre forme cancerogene.
E la sentenza di primo grado del 13 febbraio 2012 del processo intentato dalla Procura di Torino – grazie a quel monumento di civiltà che prende il nome di Raffaele Guariniello – contro Stephan Schmidheiny e Jean Louis Marie Ghislain De Cartier De Marchienne, ex presidente del consiglio di amministrazione ed ex dirigente delle fabbriche Eternit in Italia, proprio questo diceva: “disastro ambientale doloso permanente” e “omissione volontaria di cautele antinfortunistiche”. Sapevano e, per ragioni di portafoglio, di risparmio di portafoglio, hanno taciuto e non agito. Business is business.
E proprio per la rimozione volontaria delle cautele nelle fabbriche, 2.619 ex dipendenti delle sedi di Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia), Bagnoli (Napoli) e 270 tra familiari o residenti a Casale Monferrato, hanno contratto le malattie correlate alla manipolazione dell’asbesto. E i pericoli non sono finiti, visto che solo tra il 2009 e il 2011 sono stati registrati 128 nuovi casi di persone ammalate e solo nella provincia di Alessandria si contano circa 1.800 morti per esposizione ad amianto.
Condanna fu, nel 2012. E fu condanna di un certo modo di fare economia; di un certo modo di fare profitto; di un certo modo di mettere innanzi a tutto, ma proprio a tutto il danaro.
E assoluzione è stata ieri, tragica assoluzione, anche se tecnicamente non si chiama così. E non ci sarà più giustizia per migliaia di vittime dell’amianto, per tutti quelli che hanno respirato le polveri di amianto dal 1966 al 1986 nei quattro stabilimenti della Eternit. Il reato di disastro ambientale doloso è stato prescritto, seppellito e, con questo, avvilito anche quel residuo di senso di giustizia che alberga in ogni persona onesta. Soprattutto leggendo le dichiarazioni trionfanti di Schmidheiny: “ora basta processi ingiustificati”.
Si sa, business is business…
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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