Quando si usciva da scuola alle undici e mezza si scendeva in processione dallo scientifico, in via Montegrappa, fino alla stazione. Qualche chilometro di passeggiata festante fatta di canti, battute e sfottò per chi capitava a tiro degli studenti, una categoria alla quale i sassaresi guardavano con simpatia, con affetto: quegli studenti erano scatenati, la battuta sempre pronta, allegri, festanti ma educati, si, educati e rispettosi dei “grandi”. Eravamo così negli anni sessanta… Quella mattina c’era il sole, non ricordo se fosse primavera o autunno, ma era una bella giornata. Siamo arrivati in piazza della stazione che non era neppure mezzogiorno e il treno sarebbe partito all’una e dieci, dunque ancora tanto tempo a cazzeggiare, a far divertire i passeggeri che attendevano il treno per andare ai paesi vicini, Ploaghe, Ozieri, Palau, Olbia e persino Cagliari. A un certo punto compare sul marciapiedi del primo binario un giovane distinto, alto parecchio, con un impermeabile di colore avana sulle spalle, tipo tenente Sheridan. Era un gruppetto di tre quattro persone, con una valigetta ventiquattr’ore, che allora non è che se ne vedessero tante.. Il gruppo si guarda a destra e a sinistra e inizia ad attraversare i binari (il sottopassaggio non c’era ancora). Quel gruppo aveva un che di particolare, di inusuale per una stazione come quella di Sassari, a quell’ora frequentata soprattutto da studenti e da qualche “biddincuru” in città per affari o per uffici. Io fisso il tipo alto con l’impermeabile che attraversa i binari con passo lungo, gli vado incontro e: -Ma è LEI? Mi guarda con aria interrogativa, si ferma un attimo e prosegue. -Scusi, -insisto- ma è proprio lei? Solo allora capisce, mi sorride, mi viene incontro mentre tutto attorno si era fatto silenzio.. -Certo che sono io, carissima, sono proprio IO!!! E mi abbraccia come se ci fossimo rivisti dopo tanto tempo. Intorno tutto un brusio e quel signore distinto si presta alle nostre domande, risponde, lo facciamo ridere e ci fa ridere, un siparietto indimenticabile interrotto dal fischietto del capostazione, il terzo, perché il treno per Porto Torres era in partenza e in leggero ritardo. Un saluto a tutti e arrivato il mio turno: -E tu, come ti chiami? -Alba Rosa – gli rispondo emozionata. – Io già lo so che lei si chiama Dario Fo. Mi abbraccia nuovamente e mi stampa un bacio sulla guancia… Buon viaggio, Dario Fo!
Nata quasi a metà del secolo scorso, ha dato un notevole impulso, giovanissima, all'incremento demografico, sfornando tre figli in due anni e mezzo. La maturità la raggiunge a trentasei anni (maturità scientifica, col massimo dei voti) e la laurea...dopo i sessanta e pure con la lode. Nonna duepuntozero di quattro nipotini che adora, ricambiata, coi quali non disdegna di giocare a...pallone, la sua grande passione, insieme al mare.
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