Lo dico quasi sottovoce: io amo Dylan Dog. Ha compiuto trent’anni, come i miei figli. E’ nato con loro, è cresciuto con loro. Mi ha accompagnato nelle notti insonni, mi ha divertito, entusiasmato. Mi ha fatto quasi dimenticare Tex Willer. E non è poco. Dylan Dog è, dunque, il mio figlio adottivo. Sclavi, il suo inventore, è un genio che è riuscito ad inventare un nuovo modo di concepire il fumetto. C’era riuscito solo un altro italiano: Luciano Sechi, in arte Max Bunker, con quella bellissima invenzione che è stato Alan Ford, fumetto adatto agli anni settanta. Dylan è stato concepito per il fine millennio: cupo, londinese, grigio, con un velo di grandissima ironia. Dylan è quello che non si prende sul serio, si innamora di tutte le donne, ama le citazioni, la musica, ama non essere all’altezza, coltiva l’hobby di concludere un veliero. E’ timido, tenero, dolce, amaro, eticamente perfetto. Il suo padre putativo è un irascibile amico, dolcissimo e amorevolmente imbattibile: l’Ispettore Bloch che teme, da una vita, di non poter andare in pensione (da oltre un anno Dylan si è modificato e il buon Bloch è ormai un pensionato. Chiaramente dissento su tutto questo. E’ come se Kit Willer si sposasse.) Dylan è lo specchio dell’esistenza, del tempo che si ferma, di ciò che non si muove o si muove tantissimo. Quando qualcuno si guarda intorno si ricorda dei figli che giocavano con le costruzioni poi, da adolescenti leggono Dylan Dog e, da grandi, riescono ancora a dire: Giuda ballerino. Ecco, il tempo è passato, ma siamo rimasti quelli: figli di piccole cose che ci portano a dire: buon compleanno old boy e non mi dite che è solo un fumetto, ci resterei molto male.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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