La pioggia dei giorni scorsi, inzuppando le vene al sottosuolo, mi ha ricordato che un bunker non è isolato dal mondo ma solo nascosto, e non cancella quello che c’è fuori; al massimo gli fa da argine. Come se la pioggia non bastasse, ho voluto provare la connessione Wifi. Prende che è una meraviglia. Tutto merito del cavo in fibra che dal tetto della casa scende lungo il muro, si infila nel terreno (come pioggia) e raggiunge la mia prossima ineluttabile magione, portando con sé il mondo che ho deciso di lasciare fuori.
Sui vantaggi di questa cosa ho ancora dei dubbi.
Sia come sia, ho acceso il pc e ho fatto un giro per la rete. Mi ha molto colpito la vicenda di Nadia Toffa: la front-woman delle Iene ha avuto un brutto malore e per qualche ora è sembrata in bilico tra la vita e la morte. Sembra che si stia riprendendo, ma credo non sia ancora fuori pericolo. In diversi invece hanno esultato augurandosi che la Toffa morisse e l’hanno chiamato Black Humour. La Toffa, secondo alcuni coltissimi haters, è colpevole di fare un pessimo giornalismo e dunque il loro Black Humour sarebbe la vendetta dell’intelligenza sulle bufale. Come dice la mia amica Paola Mussinano, è sottile e incerto il confine tra Black Humour e cattivo gusto, e non viene spiegato da chi lo oltrepassa. L’odio social è sempre più trasversale e frequente e al contempo si sentono quasi solo discorsi ortodossi, perentori. È come se le parole e le idee stessero perdendo ogni laicità. Voglio dire, con le parole si possono costruire sia le bufale che la Scienza, sia le preghiere che i discorsi da bar: in questo senso sono laiche. La differenza sta nell’assunzione di responsabilità per ciò che si dice, oltre che in un sapere precedente che, se andiamo a vedere, è sempre fatto di parole e idee, a loro volta basate su una responsabilità, ecc. Ma chi augura la morte alla Toffa non si sta assumendo una responsabilità, sta agendo in nome e per conto di un’idea forte, di una visione del mondo dove non c’è spazio per dubbi, incertezze, errori e dove la pietà umana è un lusso senza utilità. Una cosa non molto diversa dall’odio forcaiolo verso i migranti che annegano in mare. Ecco, se esiste un motivo per tagliare quel cavo e rinunciare a portarmi il web dentro il bunker (o il bunker nel web?), è la scoperta che le parole hanno smesso di essere laiche per diventare ortodosse, consentendo a chiunque di dire le peggiori bestialità, in nome di qualcosa di puro, qualunque cosa sia. Oddio, potrei sempre uscire da Facebook e limitarmi a guardare qualche giornale, qualche film e le previsioni del tempo. Aspè, ma a cosa mi serve il meteo, se sono nel bunker? Ah già, dimenticavo: le infiltrazioni.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design