Nei giorni scorsi molti sono rimasti impressionati da quanto accaduto nel territorio di Palau, nella rada dove sfocia il Liscia. Dove finisce Palau e inizia Santa Teresa di Gallura. In quella zona si trova Culuccia, un’isola-penisola circondata da un fondale di sedimenti che appare e scompare alla minima variazione della marea. Su Culuccia viveva un allevatore, Ziu Agnuleddhu che, morendo una ventina di anni fa, ha lasciato al mondo, ad arrangiarsi da soli, alcuni bovini. E quelli si sono arrangiati, iniziando a inselvatichirsi e adattandosi a campare con quello che la campagna offriva loro. La campagna di Culuccia ma soprattutto quella circostante. Sfuggendo al controllo umano e scorrazzando per terreni e strade, la mandria –parliamo di una ventina di capi- ha iniziato presto a rappresentare un problema. Dal 2006 il Comune di Palau (un paio di sindaci fa) ha iniziato a emettere ordinanze per eliminare il pericolo; stessa cosa aveva iniziato a fare il sindaco di Santa Teresa. Le varie opzioni alternative all’abbattimento tra cui l’affidamento del bestiame ad altri allevatori, la cattura, lo spostamento, ecc, sono sempre risultate solo teoriche, per la riottosità degli animali e per la loro diffidenza verso l’uomo. Animali, appunto. L’extrema ratio di ogni ordinanza è stata, sin dai primi anni, l’abbattimento dei capi. Palau è un comune dove una certa saggezza legata alla terra non ha mai lasciato del tutto il passo a nuove mentalità legate a modelli socioeconomici diversi. È un comune in cui si sanno fare le cose, secondo me. E la decisione presa dai sindaci degli ultimi nove anni (abbattere i bovini in mancanza di alternative), era dovuta solo al timore dei rischi per le persone. Qualcuno infatti, a causa di quel pascolo incontrollato, è morto. Di incidente stradale, naturalmente. E ricordo che in questi casi (pascolo brado), è formalmente responsabile l’Amministrazione comunale competente per territorio. Però le ordinanze continuavano a restare lettera morta. Fino all’altro giorno quando, dopo anni di rinvii, è successo che il Comune di Palau abbia deciso di dare corso alle proprie decisioni. Sono stati contattati dei tecnici incaricati degli abbattimenti e si è concordato con loro che le operazioni si svolgessero in accordo con gli uffici e l’Amministrazione. Era espressamente scritto che, prima di dare corso agli abbattimenti, occorreva avvisare l’Amministrazione e il Comando di Polizia Municipale e che ogni operazione avrebbe dovuto svolgersi sotto la supervisione della ASL. Qualcosa, non so cosa, ha fatto sì che le cose prendessero un’altra piega e gli abbattimenti sono iniziati, pare, senza preavviso. Ora è in corso un’indagine per capire cosa non abbia funzionato. Nel frattempo tutta la rete (anche noi) è stata scossa dalle immagini di una mattanza che nessuno forse aveva immaginato, visualizzato. Immagini di vitelli agonizzanti, notizie incontrollate, l’immediata sospensione delle operazioni, hanno trasformato un problema di sicurezza pubblica in un’altra cosa. So che qualcuno, per quei vitelli uccisi, ha ricevuto minacce di morte anonime. Si, perché ci sono umani talmente sensibili da minacciare di morte altri umani per i loro (presunti) errori. Un po’ come quelli che hanno scritto che il Nepal terremotato non si merita aiuti perché lì la gente massacra gli animali per scopi religiosi. Un po’ come la Brambilla che propone la galera per chi mangia coniglio. Un po’ come la RAI che licenzia un conduttore perché ha osato dire che i gatti sono commestibili. Chi mi conosce o ha letto alcuni miei vecchi post su Sardegnablogger, sa che sono abbastanza attento ai temi ecologici e che mi piacciono gli animali, ma io credo che tutto ciò sia poco serio. La capacità espressiva delle immagini filmate sta prendendo pericolosamente il posto della logica, dell’uso dei concetti e della capacità di capire le storie per quello che sono sempre state, prima dell’invenzione degli schermi: sequenze di parole, collegate e controllate a loro volta da altre sequenze di parole. Tutto questo avviene anche quando i video sono falsi. E comunque c’è della mala fede, in giro, perché la stessa fortuna dei video, rispetto alle storie fatte di parole, ce l’hanno anche le bufale, che sempre storie fatte di parole sono, ma evidentemente false. Un’ordinanza, o anche cinque ordinanze, non valgono più nulla di fronte a un vitellino agonizzante che gira e si riproduce uguale a sé stesso sugli schermi dei propri contatti, e su quelli dei loro contatti, ecc. Né valgono le ragioni che hanno portato a quelle ordinanze, i tentativi fatti per salvare il bestiame, il racconto degli incidenti mortali causati da quei buoi, l’impotenza oggettiva degli uomini a risolvere il problema in altro modo. No. Ormai basta un video per curvare tutto un universo di parole e trasformare un intreccio di storie in una menzogna. Con gran parte della stampa impegnata a rincorrere non la notizia ma l’emozione causata dalla notizia (quando va bene, e l’emozione non è causata da una bufala). E per alzare la cornetta e augurare la morte a qualcuno. Sta scomparendo la capacità di mediare tra la propria verità e quella dell’altro, e sta scomparendo perché nel frattempo ha perso appeal l’esercizio della memoria. Credo che tutto questo sia pericoloso. Il problema è che viene male spiegarlo con un video.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
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Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
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