Ci sono dei nomi che ne richiamano immediatamente altri, come per un riflesso condizionato. A me Bud Spencer non faceva venire in mente solo il compagno di set Terence Hill, ma anche il titolo di un suo film zeppo di forme e miti degli anni settanta: “Altrimenti ci arrabbiamo”. È una delle prime pellicole che ho memoria di aver visto da bambino. Per “visto”, intendo dire rimanendo seduto dal primo all’ultimo minuto, concentrato su ogni sequenza. “Altrimenti ci arrabbiamo” non era certo un capolavoro del cinema, ma in vita mia credo di averlo guardato una trentina di volte. Sempre con la stessa impossibilità a staccarmi per un solo momento dallo schermo, anche se sapevo benissimo come sarebbe finita ogni scena. Quella sceneggiatura, per me, rappresentava il mondo ingenuo di Bud Spencer. Che era certo una corpulenta macchina da cazzotti e schiaffoni capace di piegare i prepotenti a forza di sberle, però si muoveva in un mondo da fumetto, dove il dolore non era mai morte violenta e perdeva quasi sempre il suo duello con la risata.
In quel film il mondo fanciullesco del luna park, con le sue maschere e la sua spensieratezza, rischia di essere cancellato dalla speculazione di un boss tanto scemo quanto arrogante, consigliato da uno stregone tedesco (doppiato da un bravissimo Oreste Lionello). La Dune Buggy – evocatrice di libertà e corse col vento in faccia – è il pretesto da cui si sviluppavano memorabili scazzottate: i ring sono ambientati perlopiù nelle periferie, ai margini del tumultuoso sviluppo urbano di quei tempi.
“Altrimenti ci arrabbiamo” è un film del 1974, nel pieno degli anni di piombo e dell’offensiva terrorista. E per quanto molti abbiano interpretato le maniere spicce di Bud Spencer e Terence Hill come un messaggio rozzo e violento, in tempi che già lo erano abbastanza, cazzotti e sventole erano certamente meno sanguinosi dei proiettili usati da chi, in quegli anni, credeva di rovesciare il sistema con le armi. Bud lo dice chiaramente, quando il cattivo assolda un sicario per eliminare lui e Terence, che ostacolano i suoi progetti: “Io, quando si spara, non mi diverto”. Però, quando alla fine il prepotente cede e di Dune Buggy ne arrivano addirittura due, tutto ritorna malinconicamente al punto di partenza e i due protagonisti si arrendono all’evidenza di un destino che non può essere sovvertito con le maniere forti.
Carlo Pedersoli ci ha lasciati ieri a quasi 87 anni. A questo gigante, che fu un formidabile atleta e un collezionista di lauree, io ho voluto bene come buona parte degli italiani. Non solo perché nella sua forza trovavano ristoro le umiliazioni subite da ciascuno di noi nel proprio quotidiano, ma anche perché i suoi film trasmettevano un messaggio molto più pacifista di quel che abbiamo sempre pensato.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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