A 92 anni è schiattato in galera Edgar Ray Killen. Era il leader del Ku Klux Kan condannato per l’assassinio avvenuto nel 1964 di tre ragazzi che difendevano i neri in Mississippi. I due bianchi erano stati uccisi con armi da fuoco. Il nero massacrato di botte. L’episodio è quello raccontato in Mississippi Burning, uno dei capolavori del cinema americano, diretto da Alan Parker e interpretato da Gene Hackman. Killen all’epoca era stato assolto da una giuria di bianchi e soltanto quarant’anni dopo era stato riprocessato e condannato. Fu uno dei fatti che scandirono la storia degli Stati Uniti e la marcia verso la civiltà della parte sana di questo Paese. Anche una delle mille storiacce del razzismo americano, di questo strano popolo che sa coniugare lo spirito della libertà collettiva con quello del diritto di ciascuno alla felicità individuale, contemplato nella Costituzione. Ma è anche un popolo che è stato razzista quanto Hitler, un Paese dove l’antisemitismo e l’eugenetica imperante nelle università di medicina furono messi da parte solo dalla guerra che bisognò dichiarare alla Germania, alleata del Giappone, dopo l’attacco di Pearl Harbor. Negli Usa a partire dalla fine degli anni Cinquanta venne ridefinito in senso moderno il concetto di liberalismo, tolleranza e integrazione. Ma nei manicomi si praticavano elettroshock e lobotomia a scopi pseudo curativi e in realtà punitivi o semplicemente detentivi. Il Paese delle contraddizioni, dove un presidente nero ha detto al mondo che il sogno dell’integrazione non era più un sogno e subito dopo di lui un altro presidente ci ha bruscamente rimessi a sognare. Obama ha chiuso molte delle guerre del suo predecessore; ha ridisegnato il concetto di welfare con una riforma che ha esteso l’assistenza sanitaria; si è sbarazzato con una mossa geniale dell’anacronistico e dispendioso nemico in casa cubano facendone un amico e offrendo una speranza – vantaggiosa per tutti – all’economia collassata dell’isola di Fidel; ha avviato accordi con l’Iran togliendo sostegno ideologico e materiale al terrorismo islamico. Il giorno dopo dopo l’America di Trump ha cominciato con puntiglio a demolire ogni cosa mattone per mattone. Ma anche ai tempi di Obama era la stessa America che spesso nel teatro europeo o con la rigida politica nel Medio Oriente confermava la sua vocazione imperialista, coltivando il retropensiero di vecchi arnesi come me: Obama o non Obama, il Vietnam con questi qui è sempre dietro l’angolo. In quegli anni Sessanta ci arrivava un’immagine bestiale del razzismo americano. Ci sembrava inconcepibile. Le croci infuocate del KKK che venivano pubblicate sulle prime pagine del Corriere o della Stampa e Harper Lee, con il suo Mockingbird ci raccontavano un’America dove, ci dicevamo, per gente come noi sarebbe stato difficile vivere. Quanto ci sentivamo superiori con la nostra cultura. Pensavamo a Lorenzo il Magnifico e a Beccaria. La civiltà occidentale eravamo noi italiani. L’altro passato lo avevamo rimosso: dalle stragi etniche nel Meridione mascherate da guerra al brigantaggio, sino all’iprite usata nell’aggressione all’Etiopia del 1936, ai massacri nei Balcani e in Jugoslavia, alle leggi razziali bene accolte dagli italiani nonostante la leggenda post fascista che narra di una ribellione popolare a quella infamia: niente di vero, ci fu una diffusa adesione che durante l’occupazione sfociò in un collaborazionismo con i nazisti e che costò la vita a migliaia di ebrei italiani. In quegli anni Sessanta guardavamo sprezzanti questi barbari razzisti americani, convinti che anche i peggiori di noi italiani non avrebbero mai innalzato croci di fuoco, neppure simboliche, alle quali appendere negri, ebrei, musulmani e zingari. E non ci accorgevamo che semplicemente da un po’ di anni nessuno ci aveva messo alla prova. I neri o i musulmani in Italia erano una presenza episodica e limitata a quelli delle classi alte. Del mondo dell’Islam conoscevamo solo i folcloristici miliardari e gli imprenditori che si compravano i pezzi di Sardegna; e i neri che ci capitava di vedere a casa nostra erano atleti o ricchi intellettuali. Poi è bastata un po’ di pressione ai confini, un’ondata migratoria anche inferiore a quella di tanti altri Paesi, per capire chi siamo veramente. Salvini e gli altri come lui non hanno esitato a costruire la loro fortuna politica su un sentimento che non hanno alimentato, non ne avrebbero avuto la stoffa da leader: era una pianta già florida, loro ne stanno soltanto raccogliendo i frutti marci.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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