Spesso, durante gli incontri di presentazione del mio libro sul disboscamento della Sardegna, dopo aver spiegato lo scempio che nell’800 ha ridotto di quattro quinti il patrimonio forestale sardo, facendolo passare da circa 500 mila ettari agli inizi a poco più di 100 mila ettari verso la fine del secolo, mi chiedono come si spiega il dato, piuttosto recente, che vede la Sardegna al primo posto come indice di boscosità tra le regioni italiane. La Sardegna infatti presenta una superficie boscata pari, secondo i dati Istat, ad oltre un milione e duecentomila ettari. Come è stato possibile che dalla distruzione quasi totale dei boschi dell’isola, oggi sia potuto rinascere l’antico splendore forestale? In realtà questo dato dimostra che, quanto si è detto in tutti questi anni, per poter giustificare quello scempio, ovvero che la Sardegna non è mai stata una regione a vocazione boschiva, è falso. I boschi ricrescono, infatti, solo se la terra in cui insistono ha vocazione boschiva. Meglio raccontare che la Sardegna, in fondo, è sempre stata arida, terra aspra e sfortunata, per poter rimuovere le colpe di quello scempio, provocato da una ignobile speculazione industriale d’oltremare, complici i vari governi, piemontese prima e italiano poi. La Sardegna finì per essere descritta come una terra povera, arida, poco fertile, battuta da venti impietosi che forgiavano pastori incattiviti dall’ambiente aspro, preludio al banditismo, anche per giustificare un presente sociale ed economico poco edificante, di cui vergognarsi, e per poter rivendicare, con un po’ di vittimismo, i vari aiuti allo Stato, gli stessi che poi hanno portato lo sviluppo monoculturale della petrolchimica. In un suo recente saggio, Topologie Postcoloniali, Alessandro Mongili, riprendendo questo assunto dal mio libro, spiega come si è formato l’ideogema della Sardegna arida: una creazione artefatta, come io stesso ho dimostrato, funzionale al prosieguo delle politiche dominanti. Per il colmo della beffa, spiega Mongili, si finisce per attribuire al paesaggio dominato dei caratteri originari che invece erano imputabili alle pratiche di dominio da parte del soggetto coloniale, con una parossistica inversione dei rapporti causali. Il dato statistico presenta, invero, luci ed ombre. Verso la fine dell’800, si incominciò finalmente a capire, grazie anche a politici, scienziati e intellettuali sardi di buona volontà, che il disboscamento provocava più danni che guadagni. Tuttavia, a causa anche delle due successive guerre mondiali, poco fu fatto per la ricostruzione del manto vegetale dell’isola, impoverita dal disboscamento ed in balia delle paludi, del dissesto idrogeologico e della recrudescenza degli incendi. E’ a partire dagli anni ’50 e ’60 che ambiente e politica trovarono finalmente una convergenza di interessi tale da attivare, grazie all’Azienda Foreste dello Stato prima e della Regione poi, un impegno concreto per la ricostituzione dei boschi, attenuando nel contempo il malessere sociale derivante dalla disoccupazione crescente. Si erano salvati alcuni importanti boschi demaniali, specie alle porte di Cagliari e di altre città, e diversi compendi forestali di comuni “resistenti”, soprattutto dell’interno dell’isola. Questo primo patrimonio di poche decine di migliaia di ettari, con il tempo, si è ingrandito finendo per ricomprendere terreni dei comuni e dei privati dati in gestione all’attuale Ente Foreste della Regione, fino a superare i 200 mila ettari di boschi a gestione pubblica. Si trattò, invero, di un’opera di ricostruzione dei boschi sardi indefessa e paziente, non esente, specie nel primo periodo, da interventi discutibili, con il massiccio utilizzo di specie esotiche a rapido accrescimento spesso ben oltre la loro ipotetica utilità di specie pioniere, ovvero in grado di ricolonizzare ambiti ecologici da troppo tempo privi di copertura vegetale. E tuttavia, al netto di queste discussioni che perdurano tuttora, oltre a pinete costiere ormai perfettamente inserite nel moderno paesaggio, i cantieri forestali gestiti dalla Regione possono in molti casi considerarsi come dei veri e propri “gioielli”, compendi naturali di straordinaria bellezza, luoghi di interesse scientifico e naturalistico di crescente valore turistico. Insomma, dai boschi sopravvissuti, come chiazze d’olio, si sono ingranditi i compendi forestali, la fertilità si è espansa, colonizzando altri terreni e riguadagnando spazio alla natura. I boschi propriamente detti, dunque, ammontano a circa 500 mila ettari. Quindi si tratta dello stesso dato rilevato all’inizio dell’800. Verrebbe da esultare per la ricostruzione totale del patrimonio boschivo isolano. In realtà si tratta, per lo più, di boscaglie, pinete e rimboschimenti ben lontani dalla floridezza e grandiosità dei boschi dell’epoca. Per arrivare, poi, alla cifra rilevata dall’Istat, un milione e passa di boschi, occorre aggiungere la macchia mediterranea nei suoi diversi gradi di evoluzione, suscettive di ricostruire, in tempi non troppo lunghi, compendi boschivi. Si potrebbe dire che ciò che l’uomo ha distrutto nella realtà, lo ricostruisce nella carta: i vari criteri con cui vengono svolti i rilievi statistici, sia quelli relativi al concetto giuridico di bosco sia quelli dettati dall’Istat, comprendono anche le macchie mediterranee involute da fattori antropici. Un milione e duecento ettari di bosco per la Sardegna è dunque, in realtà, un dato con molte luci ma anche con qualche ombra, in considerazione anche di un altro aspetto, relativo, in particolare, al triste abbandono dell’agricoltura e di conseguenza delle campagne. Un fenomeno sociale che accomuna la Sardegna al resto dell’Italia, dove il bosco, nel giro di pochi decenni, è raddoppiato, riconquistando i terreni abbandonati con la macchia mediterranea. Tuttavia, queste immense distese di macchia mediterranea, spesso e purtroppo in stato di abbandono, mostrano una straordinaria ricchezza potenziale, che aspetta solo di essere curata e gestita, accompagnandola verso migliori gradi di evoluzione boschiva, coltivando, inoltre l’idea che il bosco produce fertilità e prodotti naturali di grande pregio. Coltivando l’idea, cioè, che il bosco possa produrre ricchezza e lavoro. L’esplosione della macchia mediterranea, dopo il disboscamento dell’800, mostra le potenzialità naturali di una terra che ai suoi figli può dare ancora molto.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo.
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