Di Vittorio Feltri ho già parlato tante volte e sempre ho detto che il suo, secondo il mio punto di vista, è il peggior giornalismo possibile, per la scarsa qualità di un’informazione che spesso è pura propaganda (ricorderete il caso Boffo, uno tra i tanti) e per l’insopportabile cattivo gusto. Come sapete, Feltri è tornato da due settimane a dirigere Libero e da subito non ha mancato di riproporre il suo inconfondibile stile. Oggi, in un titolo in prima pagina a proposito dell’omicidio della ragazza uccisa a Roma dal fidanzato, Libero ha così titolato: “E per gradire nella capitale arrostiscono una ragazza di 22 anni”.
“Per gradire”, perché l’orribile fine di Sara Di Pietrantonio è l’ultimo degli appunti mossi alla politica nella prima pagina odierna. Dopo la Venezia occupata dagli abusivi, la Milano allagata e la Roma invasa dai rifiuti, per essere precisi. Un essere umano “arrostito”, questo ha dunque prodotto oggi l’umorismo di Feltri e del suo desk. Non credo si debba aggiungere nulla nel merito, ma un commento sulla strategia di Feltri sì. Feltri sa perfettamente che questi titoli suscitano indignazione ed è esattamente quella che lui cerca: ha bisogno di attirare attenzione, costi quel che costi, dei riflettori puntati sul suo giornale, specie ora che deve dimostrare di saper recuperare terreno nella classifica della copie vendute dal suo quotidiano. E ha ragione, perché io non avrei mai scritto di Libero oggi, non fosse stato per quel titolo.
Ora, un giornale che scrive con imperdonabile mancanza di rispetto per l’essere umano di una “ragazza arrostita”, secondo me, merita null’altro che il boicottaggio, Tutto ha un limite, anche la libertà d’espressione, nel senso che tutto può essere detto ma c’è modo e modo di dirlo: chi condivide questa regola di buon senso non dovrebbe più acquistare Libero. Lo so che in Italia, se solo parli di boicottaggio ad un mezzo di comunicazione, passi per nemico della libertà d’espressione, so anche che qualcuno mi farà notare come Libero non si solo Feltri ma tanti altri giornalisti, con tante famiglie a carico. È vero. Però questi altri giornalisti come possono accettare senza batter ciglio di vedere un titolo così disgustoso sulla copertina del quotidiano per il quale lavorano? Hanno mai pensato di prenderne le distanze, hanno mai incaricato il loro comitato di redazione di tutelare la loro onorabilità di fronte ad un simile scempio della parola?
Io credo che solo smettendo di comprare questo giornale si possa dimostrare, a chi lo dirige, che non è con i titoli grevi che si aumentano le copie vendute.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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