Con Blumen di Luigi Tontoranelli, presentato a Porto Torres dalla Compagnia “L’Effimero Meraviglioso” nell’ambito del festival “Etnia e Teatralità” promosso dal Teatro Sassari, la regista Maria Assunta Calvisi e la drammaturgia di Luigi Tontoranelli hanno creato una costruzione complessa, che richiede un’attenta lettura. Sono partiti da un testo, per certi versi scabroso nel suo divenire affrontandolo per particelle tematiche con riflessioni profonde sul suo contenuto. Hanno tentato, riuscendovi, un discorso ampio e ambizioso su una materia delicata e oscena come l’amore proibito fra due gemelli sorella e fratello e l’impulso, la veemenza di un amore borderline, fuori dalle regole sociali che si rivela più forte dell’imperativo etico-morale. L’autentico nucleo dello spettacolo è infatti un’analisi spietata di come il genere umano tenda a scotomizzare negando situazioni inaccettabili per il consesso civile, per imporre quella componente irrazionale ma allo stesso innata della natura umana, quando è deviata dall’educazione, dalla incomunicabilità e dall’ assenza da parte dei genitori dell’ amore nei confronti dei figli. Quella che ne è scaturita è una messinscena apparentemente normale, ma che sottintende la drammaticità della storia, ambientata in un laboratorio in cui si realizzano lavori con i fiori che in effetti sono protagonisti ossessivi che condizionano come una sorta di incubo la vita di una coppia. Sembra una storia come tante fatta di rimpianti, di speranze deluse. Ma così non è Il loro sogno è quello di evadere dall’amara realtà, in cui scopriamo che i due non sono una coppia normale ma fratello e sorella, che nascondono agli altri il loro amore incestuoso cercando altri mondi per realizzare il loro sogno. Ciò che colpisce dello spettacolo e soprattutto la capacità di smontare e rimontare l’intreccio innervandolo di trovate poetiche e lasciando libera interpretazione allo spettatore, quando i due si nascondono per sfuggire al mondo esterno in una sorta di sudario per ripercorrere all’inverso come in un rito ancestrale il ritorno al grembo materno. E infine il coraggio leonino della donna che si ribella alla costrizione omertosa della loro situazione per gridare al mondo il suo amore. Ottimi gli interpreti Miana Merisi e Luigi Tontoranelli che passano con disinvoltura dai registri quotidiani a quelli drammatici con la giusta misura e tensione. Bella e interessante la regia di Maria Assunta Calvisi che è riuscita con grande abilità ad affrontare un tema così delicato senza mai cadere nel volgare o nel ridicolo. Infine un plauso al disegno luci di Stefano Delitala suggestivo e intriso di cromatismi che ricordano la pittura fiamminga del 500. Lo spettacolo è stato a lungo applaudito.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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