Chi ci è stato, a New York e a Broadway, può goderselo meglio; senza dubbio. Chi ha avuto a che fare con la vita di teatro e con attori che, in pienezza e sincerità, riempiono il proprio animo di quel mondo, può goderselo meglio. Al netto di ciò è un film da non perdere: anche per chi non si è mosso dalla propria bidda, non è mai andato a teatro ma ha conservato intatto il dono del sogno.
Birdman è un film da non perdere per molti motivi, primo fra tutti la rara capacità di godere del talento geniale del protagonista Michael Keaton, di Edward Norton e della giovane Emma Stone. Senza la loro interpretazione l’opera sarebbe una vecchia Opel e non una raffinata Bugatti 51 Coupé.
Birdman è da vedere per ascoltare la colonna sonora: una sola batteria che ritma incessante lo stato d’animo di Keaton e invita gli spettatoti a seguire le sue emozioni, farle proprie, masticarle e digerirle, in un vortice che a volte corteggia l’ansia.
Birdman è da veder per le storie che racconta. Ché non è solo la vita del protagonista Keaton – vecchia celebrità hollywoodiana in cerca di riscatto dalle finzioni filmiche di Los Angeles in quel pozzo di prove di verità che è il teatro a Broadway (ma anche a Sinnai, che stare di fronte ad un pubblico reale con un arrangiamento di un classico è cosa altra che stare di fronte ad una cinepresa) – che il film racconta. Le storie sono molteplici e tutte ancorate a quelle domande fatali che tutti noi, prima o poi, in quel sentiero che tutti chiamano vita, usiamo come un apriscatole per aprirci l’animo: chi sono stato, chi sono, cosa volevo essere e cosa sono diventato?
Perché al di là dei finali del film, ché non racconto altrimenti non c’è gusto, è proprio lo spettro dell’umano sentirsi, che a volte si gonfia in delirio nel disumano e intimo confrontarsi allo specchio, il perimetro del film. Un sentirsi che spesso ha avuto bisogno di schiacciare il sentire altrui, o usarlo per glorificare le ragioni della propria presenza in vita attiva, giustificata dall’applauso delle mani altrui o dall’applauso degli occhi altrui. Perché, anche se siamo diventati qualcuno, è sempre agli altri che dobbiamo quel successo, ed è bene non dimenticarlo mai, anche all’inizio, quando si é ignoranti di tutto e quel successo lo si cerca a tutti i costi.
Ché i costi arrivano, sempre.
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