Bianco.
Posso sforzarmi quanto voglio, ma niente. Posso provarci quanto voglio, ma non mi viene niente. Solo il niente che arriva, non arriva niente.
Un altro pomeriggio a segarmi inutilmente le cervella.
“Dovresti essere più produttiva”
“ Eh”
“E’ vero. O ci sei sempre, o non ci sei. E non sei”.
Colpo basso, lo sento dritto nelle reni.
“Mi va anche, ma non riesco”
“Sei una rompipalle.”
“Scrivere è una roba seria. E per me generare d’impulso, non è possibile, lo sai. Non lo so fare”.
“Quello che sai fare però, è incubare l’idea nella testa fino a renderla tormento”.
“ Se arrivare al tormento serve a riempire il bianco di una pagina, ben venga. Ho anche sentito che l’ha detto Cristiano, quanto è difficile …”
“ Ah, già Cristiano,la tua nuova fissa…”
“ Non è che puoi essere sempre tu il mio chiodo fisso. Dice che la parola deve essere perfetta e ha ragione. Altrimenti meglio non farla uscire… Può diventare un’ossessione.”
“ Tu ci sei già dentro”.
“ Lo sai com’è avere a che fare con una pagina bianca, tu?”
“Io so che mi piacevi quando sporcavi un po’ le pagine”
Ecco di nuovo il tempo imperfetto, il tempo delle azioni abituali del passato.
“Ora strappi e butti nel cesso”
“Se questo è l’unico modo per non essere banale, lo faccio”.
“ C’è chi ci mangia pranzo e cena, con la banalità. Tu pensi sia meglio stare a digiuno. Prima o poi muori di fame”.
“Ma io amo avere fame.”
“ Si chiama suicidio”.
Scoppio a ridere e gli passo il foglio. Non ti sei reso conto che avevo paura di non riuscire a scrivere e ho finito con lo scriverci, di questa paura?
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