Nel 2001 mi misero nella giuria del Parajo d’oro. E’ il premio del Rotary e della famiglia Sisini, quelli della Settimana Enigmistica. Il più importante e istituzionale dei premi attribuiti ai sassaresi che hanno illustrato la città. E anche il più paludato, naturalmente. Non mi sembrò di cogliere molto entusiasmo, alla prima riunione, quando dopo un elenco dei soliti cavalieri del lavoro e roba del genere, presi la parola per dire che io il premio lo volevo dare a Bianca Pitzorno. Non so se avessero letto i suoi libri, ma mi accorsi che gli altri giurati ne avevano un’immagine di donna trasgressiva, che ridiscute i miti cittadini, che “parla male” di San Giuseppe: scuola, chiesa e quartiere. Sarà stata una mia impressione, ma lasciai l’incontro con il sospetto che alla fine la mia proposta fosse stata accolta soprattutto perché avevo buttato sul tavolo il carico da undici del giornale al quale appartenevo. Non lo rappresentavo, beninteso, perché i giurati rappresentano solo se stessi, ma bene o male ero quello che esprimeva e in qualche misura formava una larghissima fetta di opinione pubblica sassarese e non potevano mandarmi a quel paese. Lei accolse la notizia con ironico stupore e quando alla vigilia le dissi che sul palco, accanto a noi, ci sarebbe stato il sindaco, fece una faccia strana. Il fatto è che il primo cittadino era Nanni Campus, di An, che un po’ di tempo prima aveva lanciato un messaggio al popolo snobbando le celebrazioni per il 25 Aprile: “Adesso qui comanda la destra”. Bianca Pitzorno mi disse che avevo avuto ragione a scrivere che il 25 aprile non è un appuntamento di parte ma di alta politica isitituzionale e che un sindaco,come rappresentante dello Stato, non può permettersi di maltrattare quella che di fatto è la celebrazione della rifondazione d’Italia. Capii che la scrittrice aveva in testa qualcosa e cercai di capire se sarebbe stato qualcosa di clamoroso. Che so, magari un rifiuto del premio se consegnato dal quel sindaco. Ma non era da lei – donna sottile, ironica, ragionevole – un gesto così nervoso. Capii tutto quando ci sedemmo una a fianco degli altri sul palco del teatro. Lei indossava un sobrio tailleur con la giacca chiusa dalla quale spuntava il girocollo di una maglietta bianca. Mi guardò con un sorrisetto, le rivolsi uno sguardo interrogativo, lei si mise bene in mostra e con gesto plateale, senza dire una parola, si sbottonò la giacca e rivolse al sindaco un grande ed educato sorriso. Sulla maglietta campeggiava il volto di Che Guevara, che fissò, anche lui sorridente e severo, il primo cittadino che non amava il 25 aprile. Campus, che è tutt’altro che stupido, tentò di buttarla in scherzo dicendole: “Bella maglietta”. Ma ormai era al tappeto. Bianca Pitzorno, il Che e il 25 aprile avevano vinto al primo round per ko.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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