Paul Yeboah, Bello Figo Gu, è un cantante-rapper italiano: il più politico che ci sia in Italia in questo momento. Lo conosco grazie ai miei figli che più di un anno fa mi hanno fatto scoprire “Pasta col tonno”, una delle sue hits. “Pasta col tonno”, apparentemente parla di routine, di banali gusti alimentari e lo fa in un linguaggio che sembra alieno solo per la musica che lo accompagna, mentre è in realtà popolare e quotidiano. Per altri aspetti invece, “Pasta con tonno” non parla di niente, o meglio, parla di tutto concentrando un’intera canzone su un gesto assolutamente insulso e anonimo come prepararsi un piatto di spaghetti col tonno; “Pasta col tonno” scatena una poetica devastante, come la maggior parte dei testi rap, e ci avvisa che le fondamenta dell’edificio che ci ospita sono già sabbia, mentre noi ci corriamo dentro come topi, con le orecchie piene delle melodie del “Volo” o delle hit spensierate degli anni Sessanta. Se “Pasta col tonno” è postmoderno, postnucleare, postriscaldamentoclimatico, altri brani raccontano l’attrito tra la condizione di immigrato -ma più in generale quella di “povero”- e alcune impermeabili sacche della società italiana alle prese con la politica: penso a “Matteo Renzi” ma anche a “Referendum costituzionale”. Il capolavoro di Bello Figo però è “Io no pago afito”. Era dai tempi della Locomotiva di Guccini o del Bombarolo di De Andrè, che non mi gasavo così per una canzone di protesta in cui la vittima diventa eroe e poi di nuovo vittima; anche perché, nel caso di Bello Figo, la vittima vince. Di primo acchito “Io non pago afito” sembra il manifesto dell’immigrato che è arrivato qui per sfruttare le maglie larghe della buonistica società italiana. Ma già dal primo ascolto, se ce ne fosse bisogno, quel “dai cazzo, siamo negri” che apre il brano, insospettisce chiunque. Insomma, non proprio “chiunque”. Qualche settimana fa Bello Figo è stato ospite del lupo in una tana d’eccezione: la trasmissione di Maurizio Belpietro “Dalla vostra parte”. Con lui era in studio Alessandra Mussolini. Per certi aspetti quella trasmissione era un’imboscata. Per altri aspetti è stata comica e rivelatrice. La Mussolini era incazzata nera e accusava Bello Figo di prendere per il culo gli italiani, speculando sulle loro difficoltà. La claque in studio e il pubblico che appariva nei collegamenti alle spalle degli inviati, confermava questo disagio. In realtà credo che la Mussolini fosse sinceramente sconvolta perché ha realizzato che il mondo è cambiato veramente, e che l’Italia ormai è quel posto in cui un rapper nero può essere invitato in una trasmissione di destra perché alla fine quello che conta non è tanto il messaggio politico, ma lo share, il battage, che in questi giorni è notevole. Bello Figo ha risposto con pacatezza e col sorriso a accuse e improperi, cercando di spiegare il senso del suo lavoro, e grazie a quella puntata si è capito in che senso l’Italia fascioleghista proprio non ci arriva: il mondo cambia, si sposta e ci viene addosso, ma in TV continuano a passare Rita Pavone, Al Bano, Cristiano Malgioglio, Uomini e Donne, e molti italiani sono fermi lì: per quegli italiani, Bello Figo è un profugo che prende per il culo i compatrioti in difficoltà. La vita del rapper Bello Figo in realtà è un po’ diversa; lui è cittadino italiano ed è qui da quando aveva dodici anni, è arrivato in aereo dal Ghana e i suoi familiari lavorano e fanno parte del tessuto economico del paese. Però è nero, è immigrato, e conosce bene la fatica di chi deve ritagliarsi un lavoro e sopportare il peso di un ambiente a tratti ostile, in cui l’odio per “il negro” esiste ancora e arriva ad augurare le camere a gas o la morte in mare, altro che “alberghi a quattro stelle, wi-fi e 35 euro al giorno!” I soldi, Bello Figo, immagino li stia facendo, ma non a colpi di 35€/gg bensì grazie al suo estro, alla sua fantasia, alla voglia di scommetterci e alle possibilità offerte dalla rete e dalle sue piattaforme sconfinate, da Google ad Amazon, da Youtube a Facebook a Twitter. Ma vediamo un attimo il testo di quel capolavoro assoluto della canzone politica italiana che è “non pago afito”:
1. Noi non paghiamo l’affitto, dai cazzo, siamo negri 2. Non faccio opraio/Non mi sporco le mani perché sono già nero/sono profugo 3. Vogliamo wi fi, anche stipendio/ io dormo in albergo a quattro stelle perché sono bello, ricco, famoso, nero yeah io no pago afito 4. È stato Mattarella/ a dirci/che noi possiamo/venire in Italia/quindi io ho portato/ tutti i miei amici/ con la barca 5. Noi vogliamo la figa bianca 6. Quindi tutti i miei amici votiamo Piddio, Piddio, dai cao, votiaml… 7. A me piace la pasta col tonno, dai, peschiaml… In sintesi: Bello Figo è un cantante italiano che prende per il culo le sacche di razzismo e fascismo che ancora resistono nel nostro paese, un italiano intelligente che sfotte e provoca italiani meno intelligenti di lui, con un messaggio che non a tutti piace ma è politico ai massimi livelli, talmente politico che diversi concerti sono già stati annullati per le minacce ricevute dal rapper. La sua negritudine nasconde l’evidenza ai fascioleghisti e agli ignoranti, convinti che Bello Figo sia davvero un profugo e che le cose che racconta siano vere, ma il fatto che due giorni fa “no pago afito” avesse su youtube 5.655.850 visualizzazioni e in questo momento ne ha 5.932. 998 (trecentomila in quarantotto ore) però, prima o poi, dovrà dire qualcosa anche a loro.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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