Nei giorni passati si è parlato molto, in Sardegna, dell’uscita infelice di Corrado Zunino, che su Repubblica ha raccontato la bruttissima vicenda dell’asilo milanese in cui venivano maltrattati dei bambini. Zunino, a corto di argomenti, per spiegare la banale normalità di quel male ha scritto più o meno che nella “profonda Barbagia” i fatti di Milano sarebbero stati meno sorprendenti di quanto lo siano in luoghi più comuni e meno feroci, come Roma, Grosseto, Pisa. L’indignazione che abbiamo provato per queste parole ci stava tutta, e anche i tentativi di riflessione fatti da molti, più o meno severi con Zunino, hanno avuto il loro perché, mantenendo il dibattito al di sopra del clima da guerra santa che altrimenti avrebbe dilagato. Una cosa però è successa, e ha avuto meno clamore: dal momento in cui le parole di Zunino hanno iniziato a viaggiare, dei bambini e di quelle violenze non ha parlato più nessuno. Non ho visto circolare analisi o tentativi di riflessione su come sia possibile che (al di là dei regionalismi), nella civile Italia possano avvenire cose simili; non ho trovato spunti critici contro l’affidamento di certi servizi sulla base di calcoli economici a discapito della qualità del lavoro; non ho letto nulla sulla necessità, per chi ha figli, di correre mattina e sera dietro uno straccio di occupazione affidando i propri figli ad altre persone che, forse, corrono anche loro alla disperata ricerca di uno straccio di stabilità, e finiscono per concorrere con colleghi che non dovrebbero occuparsi neanche di cani, figuriamoci di bambini. E mi è dispiaciuto non trovare nulla di tutto ciò proprio per il motivo che in Sardegna non siamo mediamente né irresponsabili né disattenti nei confronti dei bambini. La mia è solo una constatazione molto en passant, quasi distratta, perché anche io faccio parte di coloro che corrono come matti alla ricerca di uno straccio di qualcosa, e in questi mesi non ho il tempo neanche di leggere. Per fortuna, lo dico con una punta di egoismo, i miei figli sono grandi e non corrono il rischio di prendere schiaffi da educatori che hanno sbagliato mestiere. Però, se dieci-dodici anni fa una cosa del genere fosse capitata alla mia famiglia, mi avrebbe fatto un effetto strano vedere che intorno a me tutti parlavano di Barbagia, di colonialismo, di sudditanza culturale e nessuno, invece, di violenze sui minori.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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