La signora Pausini è naturalmente libera di cantare o no Bella Ciao, così come nessuno la costringe a prendere posizione sul dibattito tra libertà e dittatura. Perché un conto è dire che non la canti perché non ti piace ma ben altra storia è dire che non la canti perché la trovi “politica e divisiva”.Io penso che considerare Bella Ciao divisiva sia come voler restare neutrali nella disputa tra fascismo e antifascismo, essere equidistanti tra libertà e dittatura, come considerare il 25 aprile una festa di parte, come dire che sì certo, le Fosse Ardeatine sono state un eccidio ma via Rasella, allora?Prendere le distanze da Bella Ciao è un mirabile esempio di cerchiobottismo.
Non abbiamo mai risolto l’8 settembre del ‘43. E negli anni, sempre più sfrontatamente, le destre hanno insinuato il dubbio che il fascismo fosse opinione e non reato, che i partigiani fossero peggio degli invasori, che le canzoni della Resistenza fossero canzoni di parte, di una fazione, non necessariamente più meritevole di rispetto di chi invece coi fascisti era rimasto.Ci hanno fatto credere la panzana che Bella Ciao fosse un canto comunista e non, invece, un inno alla libertà, al di sopra delle ideologie.
Oggi Bella Ciao è cantata dai tifosi allo stadio o è colonna sonora di serie televisive, ad esempio la Casa di Carta, fiction spagnola di successo mondiale: non è un caso che il talk di cui era ospite la Pausini fosse trasmesso su un canale iberico.Bella Ciao è solo un canto di pace, condiviso e cosmopolita, ecumenico. E nessuno ha il diritto di essere contro la pace.
Laura Pausini ha 48 anni ed è cresciuta in mezzo al revisionismo.Le hanno chiesto di cantare Bella Ciao e lei si è rifiutata, perché per lei quella è la canzone di una parte politica e non vuole immischiarsi in queste insidiose dispute.Sta tutto qui il malinteso.Quando rifletto su questo volersene stare in disparte, confondendo valori e principi della democrazia con i giochi delle parti, io penso alle immagini della folla festante quel 10 giugno 1940, alla gioia incontenibile di quella moltitudine quando Mussolini annunciò l’entrata in guerra.Ne provo sempre un’impressione raggelante.Anni di non pensiero, di divieto di disturbare il manovratore, di culto della personalità, avevano prodotto l’entusiasmo per l’inevitabile massacro e silenziato il dissenso.
Non prendere parte per la libertà non ci rende più liberi, ci rende solo sudditi complici.Come i manovratori ci vorrebbero sempre.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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