Averla. Averla piccola. O averla maggiore?. Averla maggiore! è lunga almeno 24 centimetri. Un uccello di 24 centimetri! Pensate che bestiolina! Ma l’averla maggiore è un uccello in via d’estinzione. Eh si, è in via d’estinzione, anche se in Sardegna, dove per natura siamo più fortunati, ce n’è sono ancora parecchie. In Sardegna, infatti, la magnifica natura, ancora in parte incontaminata, ci consente la presenza di uccelli di molteplici specie, come l’averla maggiore. Anche l’averla piccola, ma quella non corre rischi di estinzione, come l’averla capirosso. Ora, è abbastanza chiaro che chi ha dato il nome a questo povero uccello, non poteva immaginare che generazioni di ornitologi ci avrebbero scherzato su. Però questo sciocco doppio senso mi è utile per introdurre un’altra tipica ossessione che esiste in Sardegna, legata alle dimensioni. Non è, a dire il vero, una ossessione tipicamente sarda, ma una idea, molto in voga nell’Occidente, di derivazione economicista. E cioè che il volano di qualsiasi modello di sviluppo debba passare per le grandi opere, siano esse industrie, centrali di produzione dell’energia, villaggi turistici, centri commerciali, complessi residenziali. Una idea che in Sardegna in particolare, per ragioni storiche e politiche, si è affermata diffusamente a tutti i livelli e dalla quale non sembra che ci si riesca a liberare, nonostante le pesanti lezioni che la storia ci ha dato. All’inizio fu il periodo della grande industria, negli anni ’60 e ‘70 che è durato forse meno di trent’anni, e che ha lasciato uno strascico di disoccupazione e aeree inquinate, e che ha continuato ad assorbire voragini di soldi pubblici a vantaggio non si sa bene di chi. O forse si sa fin troppo bene. Poi è stata la volta, negli anni ’80 e ’90, dei grandi centri turistici e delle lottizzazioni immobiliari, quelli che dovevano garantire migliaia di posti di lavoro per ciascuno. Oggi ci ritroviamo con migliaia di case invendute e di cantieri edilizi lasciati a metà e in bella vista nei pressi delle coste. La bolla edilizia. E nei villaggi turistici, che coprono ettari ed ettari di prezioso territorio, sempre meno sardi a lavorarci. In alcuni casi zero. Ora è venuto il turno delle centrali per l’energia cosiddetta rinnovabile. Torneremo più compiutamente su questo argomento. Per il momento è sufficiente dire che questi mega progetti, che consumano una quantità enorme di territorio agricolo sia direttamente e sia con l’indotto, nel caso delle biomasse, assorbono anch’esse valanghe di finanziamenti pubblici pari solo all’energia che andrebbe sprecata. Infatti la Sardegna risulta essere ampiamente autosufficiente, e l’energia prodotta verrebbe convogliata per l’esportazione con una notevole dispersione E senza nessun beneficio per le nostre bollette che anzi, si farebbero carico anche di quei finanziamenti pubblici. Come nel turismo, dove il modello ideale sarebbe la piccola ospitalità a conduzione famigliare, anche nel caso della produzione di energia la cosa migliore da fare sarebbe il piccolo impianto ad uso comunale, aziendale o famigliare. Ora, io non sono un economista e neppure un ingegnere ambientale, e mi informo come meglio posso. Sono un antropologo e come tale studio le dinamiche culturali che condizionano certe scelte. In questo caso la dinamica sembra essere di tipo opportunistico, con i grandi progetti, infatti, i flussi di denaro possono essere controllati, gestiti e orientati meglio dai soliti più o meno noti. Se arrivano soldi in Sardegna, insomma, è perché, gira e rigira, finiscono nuovamente fuori dall’isola. Come diceva l’ornitologo, in Sardegna ci abbiamo l’averla maggiore. Ma non vi dico dove.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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