Il prossimo che mi parla di indipendenza della Sardegna io non è che gli rispondo male. Io gli chiederò soltanto che cosa sarebbe riuscita a combinare con nelle mani un potere sovrano questa classe politica regionale che ora, armata soltanto di una normale capacità amministrativa istituzionale di valenza autonomistica, è riuscita a incasinare l’Isola per il prossimo secolo. Magari gli risponderò male se lui obietterà che “è tutta colpa dei politici sardi servi di Roma”. Ma non mettiamo il carro davanti ai buoi. Per ora io penso che questo “Riordino del sistema delle autonomie locali della Sardegna” finirà di distruggere la nostra tanto decantata identità sarda. E questo avverrà in una commistione, meravigliosamente didascalica, tra interessi economici e sovrastrutture politico-culturali. A testimonianza del fatto che quel rompiballe di Marx, nonostante le stragi di ideologie degli ultimi anni, non si decide a morire. Cosa c’entra l’identità? Perché, per voi l’identità è un dono di natura? E’ una cosa che la storia ci ha dato e che nessuno ci può toccare? Non penso. L’identità è una cosa che dobbiamo fare sopravvivere giorno dopo giorno. E’ un patto di natura politica, culturale e, alla base, soprattutto economica. L’identità è un disegno comune che riguarda il futuro di tutta la “nazione” che si considera unita da tradizioni, lingue, costumi, passato, produzioni e caratteri distintivi. L’identità è un volere collettivo che si dà forme organizzate ed esprime una classe politica che la dirige e la ordina. E che cosa ha a che fare con tutto questo l’imminente città metropolitana di Cagliari? Quel mostro artificiale, quel Frankenstein costruito non con pezzi di cadaveri ma con numeri e accorpamenti artefatti che dirotteranno al Sud, ancora più di prima, popolazioni e risorse. Un mostro creato con protervia, senza neppure fingere di spiegare, soltanto dicendo: noi siamo i più grandi e ciò che avremo sarà per il bene di tutti. Ma lo sapete quanto è lunga la Sardegna? Quanto è impossibile per il Nord godere di beni e servizi accentrati al Sud? Che cosa me ne faccio io che vivo a Sassari, per dirne una, di un ente lirico superfinanziato se per assistere a un’opera devo pagarmi non solo il biglietto, ma anche il viaggio e l’albergo? Che cosa ha a che fare con la costruzione dell’identità sarda l’imminente desertificazione di gran parte della Sardegna e l’ulteriore impoverimento di un’altra parte? C’è solo una cosa che mi fa ridere più della pomposa volontà di Cagliari di essere metropoli. Il lamento di Sassari che dice “lo sono anch’io”. Fa sghignazzare anche quest’altra trovata delle mini città metropolitane, che se non è uno scherzo sembra il lancio ai bambini poveri dei confetti avanzati dopo i matrimoni. E solo pochi che dicono che in realtà, in Sardegna, metropoli non è niente e nessuno e che questa storia del Riordino delle autonomie locali è soltanto il solito sconsolante espediente per accaparrarsi rimesse pubbliche. Che vengano dallo Stato, come ai tempi del Piano di Rinascita e della Cassa per il Mezzogiorno, o da questa sempre più sfilacciata Europa, il gioco è sempre lo stesso. La differenza è che mentre prima c’era una mediocre classe politica diffusa in tutta l’Isola e quindi una spartizione impari ma sempre spartizione, ora la classe politica regionale si identifica tout court con Cagliari e la Regione. Intorno non c’è nient’altro di forte. E’ una legge di natura: “ Ci prendiamo tutto noi”. Mai l’attuale partito di maggioranza è stato così unito come quando si è trattato di difendere gli interessi del capoluogo, forse perché ormai l’identificazione fra quegli interessi territoriali e quella classe dirigente regionale è ormai assoluta. Tutto questo ha portato alla grottesca scelta di un “riordino” accentratore che non ha eguale in nessun altro luogo, in un vorticare di colpi di mano, di pugni sbattuti sul tavolo, di ridicole promesse di “rimborsi” alle quali gli esclusi fanno finta di credere, tentando magari di alzare di alzare il prezzo, anziché arrendersi all’evidenza del pietoso spettacolo di un pezzo di Sardegna che ulula e di un altro pezzo che guaisce allo scopo di impadronirsi di finanziamenti che né lupi né cagnolini ancora sanno bene come utilizzare. Completare il processo di concentrazione di economie e popolazioni verso il Sud dell’Isola è una scelta mortale che va imputata alle donne e agli uomini che noi abbiamo eletto. E quindi a tutti noi. Le piccole patrie sarde che con i loro tratti distintivi, le peculiarità economiche e culturali hanno costituito, persino da prima del periodo giudicale, la sostanziale unità della regione, sono state sconvolte da qualche decennio dal centralismo cagliaritano, che ora tocca l’apice. E’ stato il più grave errore della classe dirigente sarda dal dopoguerra. E’ stato un po’ per incoscienza politica e incapacità di programmare e un po’ per storici e ripetuti calcoli a favore degli interessi del Sud. Il risultato è comunque la creazione di un abnorme polo demografico ed economico e che determina e circoscrive a sé, ormai, anche la crescita culturale e politica. Una supremazia malata che divide la Sardegna e il suo federalismo interno. E che porterà alla rovina non solo degli esclusi ma di tutta l’Isola. Sassari nel suo declino è stata abbandonata. La sua storia, dopo il tramonto dell’industria di trasformazione dei prodotti agricoli e da quando il sogno della chimica è diventato incubo, è quella di una città improduttiva. Un po’ di edilizia (alle volte anche troppa) e un terziario assistito fatto di sanità pubblica e gestita dalla politica, Università, Comune e sempre meno finanza, intendendo per questa il Banco di Sardegna. Uno squilibrio evidente, davanti a Cagliari che – pur non essendo chissà cosa in quanto a potenza produttiva – ha sempre goduto del volano economico della Regione, l’unico ente in grado di investire davvero in servizi e assistenza, l’unico motore della Sardegna. E alla fine la Regione si è identificata non con la Sardegna ma solo con Cagliari, lasciando a Sassari un’economia stagnante che campa sulle rimesse pubbliche e incapace di iniziative. Una città dove la classe politica è entrata nella mediocrità di quella regionale e della quale spesso, più meno, condivide persino, senza a darlo a vedere, gli interessi cagliaricentrici. Un pezzo di classe dirigente alla quale si accede in gran parte mossi dalla voglia di collocazione sociale, di posizioni di privilegio, di stipendio fisso. Una cultura dove ancora si rimpiange un grande filosofo militante come Antonio Pigliaru. A quasi quarant’anni dalla sua morte: a testimonianza del fatto che dopo c’è stato poco o niente. E l’unione con Olbia per creare un’altra “area metropolitana”? E’ un’illusione, un altro di quei confetti lanciati ai bambini poveri. E’ vero che ci sono due porti e due aeroporti da unire in una rete del Nord. Ma questo dovrebbe avvenire in una programmazione di carattere regionale e non nell’ambito di una isterica e sterile rivendicazione territoriale. Olbia ha poco da spartire con la languente Sassari. Olbia è ancora una grintosa città di frontiera, con tutti i guai e i difetti ma anche i vantaggi di un’economia più forte indotta dalla sviluppo turistico. E tra questi,anche una classe politica che, pur con i suoi limiti, è parte di una importante dinamica economica ed esprime quindi interessi precisi. Quali interessi esprime invece la classe politica di Sassari? Qualche concessione edilizia in più? Salvare l’università da un accorpamento con Cagliari? La possibilità di fare circolare un po’ più di quattrini all’Asl? Se i vari territori esclusi emetteranno guaiti per rivendicare la loro parte, avranno soltanto avanzi. L’unica strada è quella di pretendere dalla Regione un comportamento da ente centrale, da istituzione che rappresenti tutta la Sardegna e non da supercomune di Cagliari abile predatore di risorse pubbliche in nome di tutta l’Isola. L’alternativa è l’immediato acuirsi del processo di desertificazione di gran parte della nostra terra. E, alla fine, uno squilibrio che danneggerà tutta la Sardegna. Cagliari compresa.
Nato nel 1951, ottobre (bilancia, ma come tutti quelli della bilancia non crede nell'oroscopo). Giornalista dal 1973. Scrive anche altra roba. Ma gratis, quindi non vale.
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