Alghero. Una mamma e il suo bambino. Una piscina gonfiabile. Un disturbo dello spettro autistico. Uno stabilimento balneare. Un cafone settantenne. Questi sono gli ingredienti che hanno fatto sì che giovedi si configurasse come uno dei tanti giorni in cui il mondo diventi un luogo dove trovarsi a disagio.
Avete presente quando, con infinita cautela, state costruendo un castello di carte e, sistemando quelle oltre il quarto piano, trattenete il respiro per non far crollare tutto? Oppure mentre giocate a Shangai afferrate i bastoncini con estrema circospezione affinché il groviglio degli altri resti immutato?
Ecco, ogni qualvolta ci si relaziona con un soggetto autistico occorre lo stesso controllo perché in quel fragile mondo è necessario entrare con passi felpati.
I sintomi dell’autismo non sono uguali per tutti e variano a seconda della gravità, tanto che sarebbe più corretto parlare di disturbi dello spettro autistico. Ma c’è un segno che accomuna tutte le forme: la difficoltà, e talvolta l’impossibilità, di interagire col mondo esterno.
Qualcosa s’inceppa nel canale comunicativo ed il soggetto autistico si rinchiude dentro un microcosmo fatto di rituali consolidati ai quali si aggrappa e dai quali trae sicurezza. Ogni variazione che interviene a scombinare il consueto ordine viene vissuta come una violenza, con lo stesso stato d’animo di chi viene bendato e condotto da destra a sinistra senza sapere cosa dovrà fare.
Un bimbo autistico giovedi giocava nella sua piccola piscina gonfiabile che la mamma aveva amorevolmente sistemato sulla battigia di uno stabilmento balneare ad Alghero. Ma il rumore della sua allegria infastidiva un bagnante settantenne che oziava poco lontano, spalmato sul proprio lettino. Quale insopportabile fracasso possa produrre un bambino che gioca in solitudine lo possiamo immaginare tutti, presumibilmente qualcosa di simile a un educato battimani che si potrebbe sentire ad un incontro di tennis juniores. Ma tanto è bastato a far sì che il costume del signore sdraiato al sole abbia iniziato a squittirgli fra le chiappe.
Il resto della storia è una successione di azioni una più vergognosa dell’altra: il bagnino che intima lo sgombero della piccola piscina in nome di imprecisate regole dello stabilimento; la mamma del bimbo che chiede un po’ di tempo per assecondare i ritmi del figlio; il settantenne che, con cafona impazienza, piomba a gamba tesa nel microcosmo ovattato di quel bimbo con urla e violenza verbale, che in caso di autismo assume una connotazione anche fisica. Il giorno dopo grazie anche alla strigliata dell’assessore Lampis, il bagnante ha chiesto scusa a denti stretti, rammaricandosi per l’accaduto o fingendo di esserlo. Ma queste non sono cose che si dissolvono come la saliva riesce a fare col boccone di zucchero filato, no. Perchè se è innegabile la gravità della reazione del settantenne, è ancora più deplorevole la gestione delle regole all’interno dello stabilimento e l’inettitudine del suo personale.
Sono sempre stata convinta, ed oggi più che mai, che laddove la norma non preveda una deroga dettata da un rigurgito di umanità e compassione, non sia una regola bensì un abuso. E, in quanto tale, da infrangere senza rimorsi.
La piccola Romina nasce nel '67 e cresce in una famiglia normale. Riceve tutti i sacramenti, tranne matrimonio ed estrema unzione, e conclude gli studi facendo contenti mamma e papà. Dopo la laurea conduce una vita da randagia, soggiorna più o meno stabilmente in varie città, prima di trasferirsi definitivamente ad Olbia e fare l’insegnante di italiano e storia in una scuola superiore. Ma resta randagia inside. Ed è forse per questo che viene reclutata nella Redazione di Sardegnablogger.
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