Il 27 gennaio è la Giornata della Memoria. Eppure lo sterminio degli ebrei attuato dal regime nazista non è stato il più grave genocidio della storia, se la gravità viene misurata col numero delle vittime. Il massacro delle popolazioni dell’America centrale e meridionale compiuto dai conquistadores, come ha dimostrato lo storico francese Tedorov, ha comportato un bilancio di morti ben superiore ai sei milioni di ebrei sacrificati nei campi di concentramento. Però la Shoah resta un caso filosofico unico, nella sua agghiacciante e inspiegabile dinamica: la scientifica eliminazione di un popolo, per le modalità in cui è avvenuto, pone tante domande irrisolte, ad iniziare da come sia stato possibile permettere simili atrocità senza che le intelligenze del tempo potessero in qualche misura prevederle. Sono domande, queste, a cui cerca di offrire delle risposte il bel saggio di Giuseppe Pulina, giovane giornalista e filosofo gallurese. Intitolato, non a caso, “Auschwitz e la filosofia. Una questione aperta” (Diogene multimedia, Collana Saggi, 172 pagg., euro 14). Pulina parte da una domanda che ha, di per sé, orizzonti apocalittici: come si può scongiurare il rischio che questa terribile memoria si disperda con la scomparsa degli ultimi testimoni oculari dell’Olocausto, in tempi di revisionismo e negazionismo, di rimozione della memoria e di riacutizzarsi dell’odio e dell’intolleranza razziale? Si deve cercare una strada, per quanto accidentata, verso il perdono, oppure questi crimini restano imprescrittibili e pongono sul banco degli imputati persino quell’entità trascendente che molti individuano in Dio? È possibile una nuova Auschwitz, se fosse vero quello stato di latenza delle sue cause argomentato da Zygmunt Bauman negli anni ottanta? L’autore apre tante porte, quanti sono i filosofi, gli scrittori e i poeti che su questo sanguinoso capitolo della storia hanno scritto pagine e speso riflessioni. Non solo, Pulina chiama in causa anche eminenti uomini di pensiero vissuti prima dell’Olocausto, ipotizzando il loro atteggiamento di fronte a questi scenari. È un libro da leggere, questo di Giuseppe Pulina. Per il garbo della sua prosa, la circospezione e l’umiltà con cui affronta temi di così grande complessità, ma soprattutto per i contenuti, per gli indizi e i suggerimenti disseminati lungo questo percorso di riflessione che è il suo saggio.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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