Zio Augusto Columbano è morto una decina di giorni fa, a 95 anni. Nella bara, accanto al corpo del padre defunto, i figli hanno adagiato la barretta, il cappello di stoffa che zio Augusto ha portato sulla testa per una vita, fino alla fine dei suoi giorni. Parlo di lui perché agli occhi dei suoi conterranei, come me, zio Augusto è stato il coprotagonista di un’impresa che pensavamo impossibile: aprire un’impresa agrituristica sì nel Comune della Costa Smeralda, ma lontana dal mare e fortemente radicata alla terra e alle sue tradizioni. Quell’agriturismo si chiama “Lu Branu”, la “Primavera”, e lo si trova a metà strada tra Arzachena e Palau, nella campagna di Juanneddu. Venne aperto agli inizi degli anni novanta e molti di noi erano scettici. Di agriturismo in Gallura già ne esistevano nei Comuni dell’entroterra – Padru, uno per tutti – ma nelle località di mare sembrava difficile pensare ad un’attività di ristorazione lontana dalla costa. Zio Augusto e i suoi figli ci hanno dimostrato che non è così. Quel che avevano sempre fatto, in campagna, hanno continuato a farlo: coltivare la terra e allevare il bestiame. Altro non servì, per far prosperare quell’impresa, se non immettere nel mercato del turismo i loro saperi e le loro produzioni. Hanno continuato a crescere e arrostire pulceddi, a lavorare l’orto estraendone i frutti, a modellare chjusoni e pulilgioni, le paste servite sulle tavole della Gallura. Si è declinato il tutto in una logica aziendale, ma non ci sono state grandi trasformazioni: zio Augusto e i figli sono rimasti quelli che erano, certo con la consapevolezza della loro capacità imprenditoriale. “Lu Branu” è cresciuto, ma i menu sono rimasti quelli della tradizione gallurese. Scrivo queste righe perché nelle ultime settimane ho letto diverse analisi -alcune molto acute – sugli scompensi che il turismo determina nei territori che ne sono investiti. Sono analisi frequenti a fine agosto, quando l’insofferenza per l’invasione di questi migranti ludici si manifesta in forme articolate. Trasformazioni fisiche di quegli stessi territori, ad uso e consumo del mercato, trasformazioni antropologiche in chi deve adeguarsi a quel mercato, stravolgendo se stesso. E poi c’è la parte resistente della Sardegna, che del turismo vede soprattutto l’occupazione del territorio attuata da centinaia di migliaia di corpi esterni.
Io credo che si possa fare turismo restando noi stessi. A saper leggere bene la sua scommessa, zio Augusto Columbano ce lo ha dimostrato.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
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