Aru è stato escluso dalla nazionale in partenza ai mondiali di ciclismo di Richmond, Virginia, USA. Alcuni siti di informazione sardi rilanciano la notizia come se fosse una cosa sorprendente. Sullo sfondo, il giovane atleta vincitore della Vuelta con la bandiera dei quattro mori al collo. La notizia, peraltro vecchia di giorni, ben prima che Aru finisse la Vuelta con la bandiera sarda al collo, ha dato la stura al complottismo sardista: Aru è stato escluso per aver esposto la bandiera sarda, chiaro, è una ritorsione! Lo Stato nazionalista che discrimina i sardi! E così via. Si aggiungono, poi, le polemiche sulla Rai che non ha trasmesso la Vuelta. Perché Aru è sardo, chiaro! Poco importa che con la privatizzazione dell’etere, il servizio pubblico televisivo si stia tramutando in un contenitore vuoto. La Rai non sta trasmettendo neppure gli Europei di Basket, per dire, e non certo perché il capitano delle squadra nazionale è Da Tome, un sardo. Già non bastava il razzismo anti-italiano, malattia infantile dell’indipendentismo sardo simil-leghista. Ci voleva anche questa per apparire ancora, per l’ennesima volta, come i soliti lagnosi, petulanti ammalati di vittimismo e mania di persecuzione. Questo ridurre ogni complesso fenomeno dell’universo alla polemica sardista sta diventando ridicolo. Ho speso sette anni della mia vita per dimostrare che lo Stato piemontese prima e italiano poi hanno sacrificato le risorse boschive dell’isola, nell’800. Sette anni di studi e ricerche per venire a capo di una dimostrazione scientifica. Anni di studi e ricerche li sto impiegando per evidenziare una costante della storia, lo sfruttamento delle risorse sarde da parte dello Stato italiano, come fenomeno comune del sistema mondo che avvantaggia le aree centrali a discapito di quelle periferiche. E ho scritto decine di articoli per spiegare come la sottovalutazione della storia sarda, specie quella nuragica, sia l’esito di quello sfruttamento e di quei rapporti di forza. Le cose vanno rappresentate con serietà, per poter essere credibili e rivendicare il giusto. Se no finisce tutto in caciara. Non si può sempre e comunque lanciare accuse gratuite, magari solo per avere un po’ di visibilità. Chiunque mastica un poco di ciclismo, sa bene che Aru non ci fa un accidente ai quei mondiali, avendo doti di scalatore puro. E’ un percorso per velocisti di potenza come Degelkolb o Kristoff, per scattisti dell’ultimo chilometro come Gilbert o Valverde, o ciclisti poliedrici come Sagan o Gerrans. In Italia gli unici con caratteristiche adeguate a quel percorso sono Ulissi e forse Felline e Trentin, che non compaiono comunque tra il lotto dei favoriti. Nel ciclismo i corridori vengono scelti in base alla caratteristiche del percorso. Due dei più grandi ciclisti degli ultimi decenni, Pantani e Cipollini, sono stati convocati rispettivamente solo due e una volta ai mondiali, e non perché erano invisi a chissachì, ma perché, semplicemente, i percorsi non erano adatti ad uno scalatore puro, amante delle grandi montagne, come Pantani, e ad un velocista puro, amante dei percorsi piatti e lineari, come Cipollini. Quando furono convocati, lo furono a ragion veduta. Pantani arrivò terzo in Colombia, percorso per scalatori, e Cipollini vinse in Belgio, percorso per velocisti. Pertanto, non c’è nessuna discriminazione contro Aru, perché era già previsto da tempo che il giovane campione non facesse i mondiali negli Usa. L’immagine di quel ragazzo, di quel campione, con la bandiera sarda al collo, è molto bella. Sbaglia chi ci vede dietro chissà quale rivendicazione, chissà quale polemica. E’ solo un gesto di amore, puro, e di appartenenza alla propria terra. Ci sarebbe da scrivere molto su questo rapporto, molto bello, che noi sardi manifestiamo con i nostri simboli. Sentirsi sardi, nelle occasioni importanti della propria vita, non è banale. E invece, spesso, prevale la visione che vede, in un gesto simbolico di amore e appartenenza, per forza un conflitto, un attrito contro tutti. Se vogliamo, è una interpretazione etnocentrica, da ombelico del mondo. A fine stagione si corre il Giro di Lombardia, una classica “monumento”, una delle più importanti gare del calendario, considerata come la rivincita dei campionati mondiali. Ecco, quella è una gara per scalatori, e dunque adatta ad Aru, che è giusto che si prepari bene per l’occasione. Probabilmente lo staff tecnico italiano ha pensato, con molta intelligenza, di lasciarlo a casa anche per questo motivo, evitandogli una faticosa trasferta negli Usa e non pregiudicargli un obbiettivo stagionale di grande prestigio e, soprattutto, adatto ai suoi mezzi. Per concludere. Capisco bene che tutte le mazzate che abbiamo preso, nel corso della storia, ci abbiano reso, come dire, un po’ prevenuti. Ma evitiamo di fare le vittime a qualunque costo. Perché è proprio quando le spariamo grosse che offriamo lo strumento, a chi non perde occasione per ridicolizzarci, di poterlo fare a ragione veduta.
Fiorenzo Caterini, cagliaritano classe '65. Scrittore, antropologo e ambientalista, è studioso di storia, natura e cultura della Sardegna. Ispettore del Corpo Forestale, escursionista e amante degli sport all'aria aperta (è stato più volte campione sardo di triathlon), è contro ogni forma di etnocentrismo e barriera culturale. Ha scritto "Colpi di Scure e Sensi di Colpa", sulla storia del disboscamento della Sardegna, e "La Mano Destra della Storia", sul problema storiografico sardo. Il suo ultimo libro è invece un romanzo a sfondo neuroscientifico, "La notte in fondo al mare".
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