Io non ci credo. Non ci credo che ci saranno torpedoni in partenza da Cagliari e diretti a Predda Niedda stracolmi di ragazzini urlanti che non vedono l’ora di fare acquisti nel nuovo negozio colosso dell’abbigliamento made in Svezia. Non ci credo che ci sia tutta questa spasmodica attesa per fare il pieno di acquisti in attesa di un Natale che non si presenta radioso. Non ci credo perché ho sempre fiducia nel prossimo, ho speranza che la gente prima o poi si ravveda e a questo punto sono andato a controllare, come direbbe il buon Catarella, di “persona personalmente”.
Ero anni che non mettevo piede nell’isola di Auchan e, fin da subito, ho perso le frecce che mi portavano ai parcheggi. Sono riuscito a reperire un posto nei “piani alti” dove c’è un’entrata verso il Mc Donald. Tutto questo, lo ammetto, non prometteva niente di buono. Ci sono molti negozi da queste parti. E scale mobili, e colori troppo forti e troppo luminosi. E ragazzini che ridono e giocano con i loro cellulari. Sono da soli e sono minorenni. Mi chiedo come ci siano arrivati fin qui, mi chiedo come abbiano fatto a non perdersi, a trovare la matassa giusta per affrontare questo girone complicato e, per me, poco comprensibile. Ho visto vari cartelli che annunciano la fantomatica data: mercoledi 29 novembre. Perché questo colosso svedese aprirà in una giornata che non è festiva? Qualcuno mi suggerisce che se avessero deciso per un sabato o una domenica c’era la certezza assoluta che avrebbero bloccato, anche per ore, il traffico verso Auchan. Io ascolto e non capisco e comincio a chiedermi, guardandomi intorno, dove diavolo ho parcheggiato l’auto. I ragazzini ridono e giocano nei tapis-roulant; qualcuno ondeggia, altri si dirigono verso il MC Donald. C’è gente, molta gente. Avevamo davvero bisogno di H&M? Avevamo davvero questa terribile necessità? Lo chiedo a qualcuno spacciandomi per tifosissimo del colosso svedese e il risultato che ottengo è sempre lo stesso: è un bel negozio, vende roba buona e si risparmia. Facendo un giro “virtuale” su internet scopro che questo colosso ha ammesso che in Turchia bambini siriani sono impiegati nelle fabbriche di un suo fornitore, così come accade per il marchio Next. Le due aziende sono le uniche ad aver certificato pubblicamente l’uso di minori rifugiati, ma secondo la ong Bhrrc lo scandalo potrebbe riguardare decine di brand. (potete reperire la notizia su questo sito) E’ una notizia di febbraio del 2016 ma nessuno ha ben capito come sia andata a finire. Però producono roba “buona”. Anche qui, girando in internet si scopre che tra quelli che Greenpeace definisce “I patiti delle sostanze tossiche”, marchi che continuano a far finta di non vedere la scia inquinante che lasciano alle proprie spalle e che non hanno preso alcun impegno serio e credibile con i consumatori di tutto il mondo, troviamo Armani, Diesel, D&G, Gap, Hermes, Group/Christian Dior Couture, Versace e, appunto H&M.
Chiara Campione, senior corporate strategy di Greenpeace che dal 2011 segue la campagna Detox dice testualmente: “«Nel 2011-2012 abbiamo lavorato, per esempio, su Nike, Adidas, Zara, H&M producendo rapporti su rapporti: venne fuori che nei loro prodotti che risultavano contaminati la concentrazione di sostanze chimiche pericolose in alcuni casi superava i limiti dei regolamenti europei. » C’è da dire, però che H&M ha aderito al programma Detox promosso da Greenpeace e dal 2016 il colosso svedese è finito nella lavagna dei “buoni” con Inditex e Benetton (trovate l’intero resoconto su questo sito) Quindi, ritorniamo a parlare di “roba buona”. Ma non è proprio così. Nel 2014 esce fuori un “sweat shop” ovvero un docu-reality realizzato da un quotidiano norvegese proprio su H&M. Tre giovani fashion blogger vogliono capire come vengono prodotti gli abiti e le altre mercanzie. Si recano in Cambogia, uno dei paesi dove l’azienda produce il maggior numero di capi e lavorano per un mese all’interno dei laboratori tessili, vivendo come gli operai. Le condizioni sono pessime: alloggi fatiscenti e turni di lavoro massacranti. Il colosso si difende e dopo una massiccia campagna contro i suoi prodotti afferma che: “L’immagine ritratta di H&M, nel programma web-TV è imprecisa e nessuno degli stabilimenti visitati nel programma produce capi di abbigliamento per H&M. Né i produttori né le ragazze ci hanno contattato per chiedere informazioni quando hanno registrato il programma. Ma è importante che i nostri clienti e gli azionisti abbiano un corretto quadro della nostra azienda e delle responsabilità che ci prendiamo. Abbiamo da molti anni fatto dei grandi sforzi nei paesi di produzione esistenti per migliorare le condizioni di lavoro e rafforzare i diritti dei lavoratori. H&M ha uno dei più alti standard di sostenibilità nell’industria al mondo nei confronti dei propri fornitori. È da sempre nella nostra visione aziendale che i lavoratori dell’industria tessile debbano vivere con i propri salari. Tutto ciò è evidenziato anche nel nostro Codice di Condotta». Dunque, una mezza ammissione ma anche una correzione. (potete leggere tutto sul sito del Messaggero) Dobbiamo arrenderci: H&M è in regola, ha fatto qualche errore ma ha rimediato. La sua è “roba buona”. Non lo so. Però, a pensarci bene: avevamo davvero bisogno di un nuovo spazio fuori dalla città che vende abiti, magliette, pantaloni ed altre mercanzie, prodotti comunque in molte parti del mondo dove controllare diventa sempre difficile? Non lo so. Io spero soltanto che il 29 novembre non arrivino i torpedoni da Cagliari e che i sassaresi se ne stiano a passeggiare tra Piazza D’Italia e Piazza Castello. Io di sicuro prometto solennemente che non tornerò presto da quelle parti: l’isola di Auchan dove, per inciso, ho impiegato più di venti minuti per ritrovare l’auto. “Perché non la cerca con un app?”, mi dice il ragazzino vestito colorato e veloce come questi tempi. Rientrando a casa ho capito perché apriranno il 29 novembre: perché è un giorno dispari, di un mese dispari all’interno di un anno dispari. Ma queste sono solo giochi letterari e H&M avrà un grande successo. E poi c’è ancora qualcuno in giro che pensa ancora alla Svezia come quella nazione che ci ha eliminato ai mondiali di calcio che si sarebbero giocati, come ogni mondiale in un anno pari.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
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