Aria ferma non è un film sul carcere. E’ un film nel carcere. Non era facile costruire una storia “sospesa”, partendo da un presupposto semplice e geniale: nulla si muove e tutto si può muovere. E’ un po’ quello che magistralmente Dino Buzzati scrisse nel deserto dei tartari ed è quello legato alle intersecazioni della vita: l’attesa. Il film è il racconto di una sospensione silenziosa, c’è forse un nemico che si dovrebbe stanare e non si comprende da quale parte arriverà. Ci sono le strategie dell’attesa, di quell’aria sospesa dove tutti galleggiano: detenuti e poliziotti penitenziari. La sceneggiatura è pulita, ben orchestrata, tempi giusti, tempi lenti. Come il carcere. Ecco, la costruzione del film è perfetta: si vive in carcere, si respira il carcere, ci sono i rumori del carcere. Quelli che nascono dentro le sezioni, quei blindi che si chiudono con rispetto o con rabbia, dipende dagli uomini e dalle situazioni. Il film è girato nel dismesso carcere di San Sebastiano a Sassari considerato da molti il peggior istituto italiano. E non era vero. Il regista Costanzo forse inconsapevolmente restituisce a quella galera la giusta dignità. In quell’immenso deserto dei tartari rappresentato dalla rotonda si muovono i detenuti e gli agenti. Si muovono come un’orchestra che sa a memoria la propria partitura.I detenuti sanno di essere dall’altra parte della barricata e le regole del gioco sono chiare. Devono essere chiare. Sembrano chiare. Poi, però, in quell’aria ferma qualcosa si muove. E le linee rette cominciano a curvarsi. C’è il contatto tra agenti e detenuti, c’è una piccola intesa su qualcosa che si può fare insieme, c’è la consapevolezza che il nemico non esiste e comunque non arriverà. C’è la possibilità di stare insieme, provare a parlarsi, a discutere di alcuni momenti, provare a miscelare i due mestieri: quello del detenuto e quello del poliziotto che, rammentiamolo, sono diversi. Ma il deserto dei tartari disegna curve inconsuete, riesce a far capire che seppure la regola per l’architetto sia quella di mantenere la linea dritta è necessario a volte infrangere quelle regola forse giusta, forse necessaria, ma perfettamente inutile. Almeno in quel momento. Ed ecco che qualcosa accade. Cucinare per tutti, avvicinarsi allo stesso tavolo, condividere lo stesso pezzo di pane, lo stesso clima. Far arrivare la bottiglia di vino. Bravissimi gli attori (Servillo e Orlando perfetti nei ruoli e nei bellissimi silenzi) ma brave anche le figure secondarie. Ho conosciuto San Sebastiano. Non ci ho mai lavorato. Ci sono stato molte volte per lavoro. Sono passato dentro quei silenzi e quelle sezioni ruvide, intense, terribili, gonfie di storia e di umanità. Mi ha colpito il rumore sordo che produceva l’immensa rotonda, mi hanno segnato gli occhi di alcuni detenuti che avevo conosciuto all’Asinara. Ed è qui che il film ha svoltato. Ed è qui che ho capito che aria ferma era anche un pezzo di Asinara. L’ispettore interpretato da Toni Servillo l’ho conosciuto per davvero. Quello che a dispetto delle linee rette amava disegnare qualche curva. Da quelle persone ho imparato il mestiere. Ho anche conosciuto detenuti scaltri e furbi come quello interpretato da Silvio Orlando e anche loro hanno effettuato le stesse considerazioni: “siamo detenuti entrambi”. Non era vero. Lo sapevano loro e lo sapevamo noi, operatori di giustizia. Aria ferma non è un film sul carcere. E’ un film nel carcere. Entra nei polsi di chi ha lavorato in sezione, di chi ha avuto paura a rimanere solo davanti a troppi detenuti. E’ un film che racconta la vita intensa di uomini che sanno di dover rappresentare lo Stato con sacrifici immani. L’ispettore interpretato da Toni Servillo è un bellissimo poliziotto, è stata gente come lui che hi ma fatto innamorare del mio mestiere. Aria ferma è un film per chi ha vissuto il carcere, per chi lo ha annusato e per chi non lo ha mai incontrato. E’ un film di straordinaria bellezza, racconta l’attesa tra le pieghe della vita, racconta la vita stessa con tutte le intersecazioni di cuori diversi. Ma sempre pulsanti. Guardatelo. Ne vale la pena.
Nato a Oristano. padre gallurese, madre loguderse, ha vissuto ad Alghero, sposato a Castelsardo e vive a Cagliari. Praticamente un sardo DOC. Scrive romanzi, canta, legge, pittura, pasticcia e ascolta. Per colpa del suo mestiere scommette sugli ultimi (detenuti, soprattutto) e qualche volta ci azzecca. Continua a costruire grandi progetti che non si concretizzano perché quando arriva davanti al mare si ferma. Per osservarlo ed amarlo.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.018 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design