Ma cos’è questa voglia di menare le mani che pervade l’aria e penetra fino al mio bunker? Questo retrogusto di sangue che accompagna ogni discussione? Prima non ci facevo caso ma da quando esisto solo come clandestino, come toporagno nascosto nella buia terra, io avverto questo strano sapore delle parole. Un po’ come quando si smette di fumare e ci si ricorda di cose che c’erano anche prima ma venivano ignorate
Di solito un Bunker come il mio serve per ripararsi dall’Apocalisse, nella speranza che là fuori qualcosa sopravviva, qualcosa da cui partire per ricostruire. Ma il silenzio che c’è quaggiù mi interroga e mi chiede: ma un’Apocalisse raccontata non sarà solo un trucco per tenere a bada la tendenza naturale di ogni cosa a cambiare?
L’Apocalisse funzionava bene nel Medioevo, spaventava e i ranghi si serravano in un fronte unitario contro il pericolo, contro la devianza, contro l’attacco all’ordine naturale delle cose. E qualcuno con cui prendersela si trovava sempre: Catari, Valdesi, Dolciniani, Giudei, Untori, Streghe. Ma, mi chiedo, erano più medioevali le streghe o i roghi? Gli infanticidi rituali o i pogrom? Gli eretici o l’Inquisizione? La Peste nera o l’idea di peccato?
Oggi si mette spesso in guardia contro il ritorno del Medioevo. A parte la simpatia che provo per quei Mille anni, per il gregoriano, i capolettera miniati, il pensiero di Aristotele come pilastro, l’Infedele (Averroè) che lo ha salvato, le chiese romaniche e gotiche, eccetera, a parte la simpatia, dicevo, ma il ritorno del Medioevo è da temere per le streghe o per la caccia alle streghe?
Il Medioevo, se è ancora qui, è più nei modi che nelle cose, è più nell’esercizio del potere e del pensiero unico che nella varietà delle idee. È un Medioevo feudale, statico, in cui il potere organizza la sua sopravvivenza e in cui ognuno pre-vede le cose in termini di noi e voi, di dentro e fuori le mura, di bianchi contro neri. E in questo “medievare” in cui ci sbattiamo, c’è tutto tranne che capacità di leggere i fenomeni cogliendone la natura complessa. Muraglioni e parole d’ordine ci danno una parvenza di sicurezza rispetto al deserto dell’incertezza e del “fuori squadra”, in ogni campo.
Ora che ci penso, “fuori squadra” significa “storto, irregolare, non perpendicolare” ma richiama anche “fuori dalla squadra, non schierato, non sul campo di battaglia”. E “non perpendicolare” un tempo si diceva “non normale”.
A parte le parole, è davvero tutta una corsa a rendere normali le cose, a disinnescarne la differenza, la novità. L’illusione della “ricetta” lineare, razionale, veloce e precisa, della sua necessità e della sua efficacia, caratterizza l’approccio a ogni problema, dalla Medicina, che alcuni confondono con la Fisica ma la usano come l’Ingegneria, alla Sanità, dove la confusione maggiore è tra tagli ed efficienza e dove si spaccia la soppressione di servizi per un investimento a beneficio della sicurezza (anche i conti devono diventare “normali”). Dalla Scuola, che sopravvive in trincea tra invalsi-performance-finanziamenti-alternanza, alla politica internazionale (chiudere i confini, espellere gli “altri” dal territorio del “noi”) al costume (dieci consigli per…, le dieci ricette più…le cinque cose che non devi fare se…).
Che stress…
In tutto questo vivere assediati da ciò che è incerto, provo nostalgia per un modo di costruire cultura che non so se sia mai esistito ma sulla cui nobiltà siamo stati abituati a sognare e sperare, quello in cui chi studia, chi legge, chi comunica, chi fa politica, chi educa, lavora sempre a s-velare e de-costruire i meccanismi del potere, di ogni potere, a cominciare dalle molte varietà di conformismo e di omologazione, della riduzione a uno di un pensiero che per sua natura dovrebbe pullulare di forme e di opzioni; quello che un tempo chiamavamo “fantasia”, sognando che andasse al potere. Invece sembra prevalere la corsa a integrarsi col potere del Sistema e coi sistemi del Potere.
Se volessi riassumere in una battuta questo stato di cose, con un occhio alla realtà italiana, dovrei rifarmi alla cosa più illuminante detta da Renzi poche ore prima del “silenzio” elettorale, il 2 marzo scorso: per spiegare cosa avrebbe fatto e cosa non avrebbe fatto il PD, a prescindere dal risultato, disse: “in ogni caso, mai con gli Anti-Sistema”.
Ecco la chiave, è tutto qui. Sappiamo che Renzi pensava al Movimento 5 Stelle e ai leghisti, magari più al primo che ai secondi. Sappiamo che in certi casi l’obbligo della sintesi paralizza il pensiero. E sappiamo che ci sono ottimi motivi per non allearsi con Salvini e criticare Grillo. Ma in quelle otto parole c’è molto altro: c’è tutta l’evoluzione della Sinistra italiana degli ultimi decenni, lanciata a gran velocità verso il buco nero che la aspetta ad una delle prossime fermate. Un buco nero dovuto anche all’aver rifiutato la complessità come stile di vita del mondo, a mio avviso. La Sinistra ha rinunciato a immaginare nuovi mondi, nuove opzioni e a osservare con uno sguardo critico il Sistema nel momento in cui lei stessa è diventata Sistema.
E quindi?
Quindi ci resta il bunker. Ma per difenderci da quelli che ci difendono, per proteggerci da chi ci vuole preteggere a tutti i costi. Da Salvini, certo, ma anche da Minniti. Dall’Iran, forse, ma certamente da Trump. Dal Front National, ovviamente, ma anche da Macron. Da Di Maio, possibilmente, ma anche da Renzi.
Il Medioevo non è fuori dai nostri confini: è sopra le nostre teste e dentro le nostre crociate e l’eresia, così come i Barbari mille anni prima e lo sguardo sulla complessità oggi, portano più varietà che abisso, più nuove opzioni che devastazione.
Non è dall’alto delle nostre Città fortificate che si possa sperare in una spinta al cambiamento, se è quello che stiamo desiderando, né è dall’alto dei posti di comando. Nella misura in cui in alto si collocano, da sempre, coloro che dello stato attuale delle cose risultano beneficiari.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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