Sono un grande appassionato di calcio, ma non metto più piede in uno stadio da anni. Di quelle volte che ho assistito a partite di serie A – ero un bambino – mi è rimasta impressa l’aria pesante da guerra civile, le divise schierate per prevenire gli scontri, gli sguardi torvi e le minacce in tribuna tra tifosi di fede diversa. Minacce che colpirono anche me, che ero appunto un bambino: non l’ho mai dimenticato. Non mi è più venuta voglia di andare a vedere una partita di serie A, ma la domenica al campo sportivo del paese non mancavo mai. Seguivo mio padre, che ci va tuttora, mantenni l’abitudine quando fui in grandi di decidere autonomamente i miei spostamenti. C’era quel rito delle noccioline tra un tempo e l’altro, i fumogeni che coloravano il cielo nei match importanti, Ciotti e Ameri che da radioline gracchianti davano conto di quel che accadeva nei templi del calcio nazionale, alimentando gli sfottò in ogni gradinata di periferia. Per qualche anno feci anche le cronache in diretta per la radio del paese. Poi, ad un certo punto della mia vita, ho smesso. Gli insulti ad arbitro, guardalinee e avversari mi sono diventati fisicamente insopportabili, mi divenne fisicamente insopportabile il principio del tifoso secondo cui i nostri hanno sempre ragione, gli avversari sempre torto e vanno picchiati. Certo, è una minoranza quella che ragiona così, ma urla più forte di tutti gli altri. Io non la reggevo più e da allora me ne sono rimasto a casa, con molto dispiacere. Mi sono sempre illuso che l’incontro su un prato verde tra giovanotti che si contendono una palla potesse essere una festa, un abbraccio, mi illudevo che alla fine la ragione dovesse prevalere, in un processo di maturazione inevitabile del tifo. Purtroppo l’aspetto cruento dello scontro continua a prevalere. Anna Frank oltraggiata, per farne un simbolo della inciviltà pallonara, non mi sorprende. Mi piace moltissimo il calcio, non mi piace per niente molto di ciò che lo contorna.
Nato nel 1971 ad Arzachena ed ivi smisuratamente ingrassato negli anni seguenti, figlio di camionista e casalinga. Titoli appesi alle pareti: laurea in Lettere moderne all'Università di Sassari, iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti, guida nazionale di mountain bike, presidente della Asd Smeraldabike, direttore della testata Sardegnablogger. È stato redattore di tre diversi quotidiani sardi: dal primo è stato licenziato, gli altri due sono falliti. Nel novembre del 2014 è uscito il suo primo romanzo, "Cosa conta".
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Elio e le storie disattese (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Unisciti a 18.020 altri iscritti
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design