Va di moda, da un bel po’, l’idea che “ci vogliono tecnici competenti, al posto dei politici”; abbastanza ingenua, è la facciata presentabile di idee più pericolose.C’è qualcosa di lugubre nell’idea di svuotare la classe politica e rimpiazzarla con la classe dei tecnici, affidando loro la responsabilità di governare.Attenzione, non di governare e basta, ma anche -incidendalmente- concertare, trattare, mediare. Non solo governo, non solo esecuzione. Si spera che dei “tecnici”, anche se non hanno mai fatto politica, facciano politica al posto dei “politici”.Il presupposto (corretto) di tutto ciò è che i tecnici svolgono attività nobili, che richiedono competenze specifiche. I tecnici possiedono un sapere “che conta”, perchè associabile a opere, computi metrici, tariffari. L’idea invece che anche la Politica sia un’attività, desta sospetto e diffidenza. E anche le competenze richieste alla Politica, specie dopo Tangentopoli, sono marchiate da uno stigma negativo.Un discorso a parte meriterebbe la separazione, particolarmente forte da noi, tra saperi scientifici e saperi umanistici, e l’idea che a quella divisione corrisponda in qualche modo una divisione nella realtà, come se le cose studiate dalla Fisica, dalla Biologia e dalla Storia appartenessero realmente a universi separati. In questo senso fa ben sperare il rientro in Italia di Luciano Floridi (un filosofo), chiamato dall’Università di Bologna a occuparsi, in modo interdisciplinare, del rapporto tra etica, diritto, big data, intelligenza artificiale, e social media. E anche le idee del nuovo Ministro per l’Ambiente e la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, sono incoraggianti; specialmente quando, da Fisico, parla della necessità di interpretare il progresso scientifico garantito dalle “scienze dure”, alla luce della conoscenza storica e con un approccio umanistico.Tornando a noi, credo stia tramontando l’idea della politica come attività. La politica sembra piuttosto un luogo. Un luogo dove si decide, una stanza dei bottoni in cui, ripudiate le competenze politiche, è bene che entri chi possiede competenze tecniche, le sole misurabili e dunque legittime.Idea tanto più pericolosa quanto più sembra intelligente. Lungi dall’essere la soluzione, essa è solo la deriva finale di una rarefazione della politica iniziata prima degli Anni Sessanta ma cronicizzatasi negli anni Novanta. Negli Anni Cinquanta gli iscritti ai grandi partiti storici, iniziarono a calare. All’epoca DC, PCI e PSI insieme, facevano circa 5 milioni di iscritti. Oggi il PD, che è un po’ l’erede di quei partiti, non arriva a mezzo milione di iscritti. Il culmine ideale di quella parabola sta nel quadro impietoso del Rapporto 2020 del Censis su “Gli Italiani e la Politica”. Secondo il Censis gli Italiani seguono le vicende politiche -pur senza partecipare- ma nutrono una sfiducia crescente nei confronti del futuro e verso le possibilità della politica di proteggerli dalla precarietà. E dalle risposte ai sondaggi emerge che il terreno è sempre più fertile per soluzioni che pensavamo di esserci lasciati alle spalle, come l’ascesa dell’uomo forte, libero dalla dialettica parlamentare e partitica.La rarefazione della Politica e l’idea cha non possa più risolvere i problemi collettivi, può essere legata allo spegnersi di grandi tensioni ideali (socialismo, comunismo, militanza cattolico popolare) e all’affermazione dell’ideologia più potente degli ultimi cento anni: l’assioma secondo cui il modello socioeconomico occidentale sia l’unico possibile. Idea tanto più potente quanto più non viene pensata come ideologia ma come dato storico oggettivo.Scendendo nei dettagli va ricordato un fatto, di solito completamente ignorato: l’attività politica, il tempo dedicato da un cittadino al funzionamento di un partito, di un’associazione, di un ente territoriale periferico, è pagata poco, quando è pagata; ma più spesso non è pagata affatto.Fare politica è gratis. L’eccezione, rappresentata da una carica in Parlamento o in Consiglio regionale, offusca la regola e porta a percepire la politica come remunerativa.A questo punto, se si torna ad allargare lo sguardo, perché un professionista, se può eccellere nella sua attività di medico, di ingegnere, di dirigente, dovrebbe dedicare il suo tempo alla politica? In termini economici, non c’è alcun motivo serio per sacrificare la professione alla politica. Siamo una società in cui competizione e profitto sono valori fondamentali di ogni visione, di ogni azione e scelta; e allora è proprio il nostro tempo, il flusso in cui siamo immersi, a svuotare la politica di competenze, a distogliere “quelli bravi” dal fare politica, visto che farla non è utile, non è economicamente conveniente. Ma allora, e questa è una domanda chiave, per quale motivo un “tecnico”, che non si è mai occupato di politica perchè non gli conveniva, dovrebbe essere capace di fare il “politico” senza una formazione, senza esperienze maturate sul campo?Questo aspetto del problema raggiunge vette drammatiche in un momento in cui nessuno, non solo quelli bravi, frequenta ormai sezioni di partito; anche perchè è ormai difficile trovarne una; e così, in questo tempo disertore, anche costruire liste civiche per delle semplici elezioni comunali diventa uno sport estremo.I pochi che ci stanno, si aggregano per il tempo sufficiente a formare una lista, fare qualche settimana di campagna elettorale e prendere atto del responso delle urne: dopo di ché, la politica torna ad essere materia da social.E quel che resta della politica, che fa? I partiti, le segreterie nazionali, i leader?Leggevo ieri un commento di Bonaccini (PD, Presidente dell’Emilia Romagna) alle voci che lo vorrebbero prossimo successore di Zingaretti alla guida del Partito. Schermendosi, ha bollato come “marziana” l’idea stessa di mettersi, ora, a parlare di congressi. Ragionevole, non c’è che dire. In piena pandemia ci sono altre priorità.Ma è evidente che in un’epoca così veloce, le priorità si susseguono frenetiche, e rimandare i congressi a tempi migliori rischia di allontanare in modo irrimediabile il momento in cui i cittadini sentiranno nuovamente la voglia di occuparsi di politicaFino a quel momento, questa politica disertata non potrà avere linfa sufficiente a elaborare una visione nuova delle cose.Soprattutto, non potrà avere la forza non solo per seguire il corso delle cose con la dovuta perizia tecnica, ma anche per provare a cambiarlo.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
Renatino e i misteri di Roma (di Giampaolo Cassitta)
Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
The show must go on (di Cosimo Filigheddu)
Vincerà Mengoni. Però… (di Giampaolo Cassitta)
Ero Giorgia, e ricanto. (di Giampaolo Cassitta)
Piacere, Madame. (di Giampaolo Cassitta)
Se son fiori spariranno (di Giampaolo Cassitta)
Ma Sanremo è Sanremo? (di Giampaolo Cassitta)
Pacifisti e pacifinti (di Simone Floris)
Lo specchietto (di Salvatore Basile)
Da San Gavino a San Cristoforo, quando colonizzammo il Villaggio Verde. Ovvero il trasloco (di Sergio Carta)
Se riesco a buscare 5000 Lire ci vediamo allo Zoom, ovvero le pomeridiane in discoteca degli anni’80. (di Sergio Carta)
Papa Fazio (di Cosimo Filigheddu)
Inserisci il tuo indirizzo e-mail per iscriverti a questo blog, e ricevere via e-mail le notifiche di nuovi post.
Indirizzo e-mail
Iscriviti
sardegnablogger ©2014 created by XabyArt - graphic & web design