La questione del Punteruolo Rosso (Rhynchophorus ferrugineus), il coleottero che sta falcidiando i palmeti di mezza Sardegna, ha avuto una enorme risonanza, direi anche giustamente, perché qualunque minaccia metta in pericolo l’esistenza di qualsiasi essere è una minaccia per l’umanità tutta, animale, minerale/fossile o vegetale che sia la specie colpita.
Convegni, articoli su mass media e blog ma pure nei ragionamenti fra il faceto e lo sportivo da bar, si sono in questi ultimi mesi occupati, a più livelli e per diversi aspetti, del problema di queste larve e coleotteri che in poco tempo sono capaci di distruggere piante di un particolare genere di palma. Preoccupazioni decisamente legate a fattori più estetico/economici che produttivi, del resto noi non produciamo ne’ olio ne’ datteri dalle palme, che abbiamo qua perché qualcuno le importò qualche secolo fa e si adattarono splendidamente al nostro clima ed habitat. Battaglia giustissima, l’ho detto, è onorevole cercare di porre rimedio a questa strage, ma…
C’è un “ma” anche qua, mica solo per i “non sono razzista…”, ed è un “ma” che riguarda un’altra pianta, anch’essa importata in quest’isola ma dagli antichi romani (non dagli Aragonesi come molti pensano) e che, in termini di produzione, batte di gran lunga non solo le palme, ma anche molte altre piante non autoctone. Olio, legna e tantissimi derivati, dal sapone alla sansa, per finire con la semplice ma graditissima ombra che queste secolari piante ci offrono, senza necessitare di grandi manutenzioni e/o spese. L’Ulivo ha decisamente dato e dà alla Sardegna molto più di quanto non abbiano dato e diano, per quanto belle, piante ornamentali come le Palme, gli Ibiscus, i Ficus o le Araucarie. E piange davvero il cuore, nel vedere le attuali condizioni di zone come la fascia olivetata intorno a Sassari, una delle più vaste e variegate dell’isola con ben oltre 20 tipologie di frutto differenti ed una estensione di centinaia di ettari, realizzatasi in tre tempi, a cavallo fra il XIX ed il XX secolo seguendo una più che sostenibile armonizzazione del territorio “a fasce concentriche” intorno all’urbe: prima gli orti, poi gli oliveti e per finire le zone di “pastoralismo” fra la macchia ed il boschivo. La prima fase, a partire dal 1860 sino al 1920 (Cessato Catasto Terreni – Elab. DESA), la seconda fra il 1920 ed il 1928 (Nuovo Catasto Terreni – Tirocinio) ed una terza, fra il 1928 ed il 1977, che videro uno sviluppo, pianificazione e monitoraggio dell’esistente molto particolareggiati.
Saggezza antica, ahinoi, vitale direi, per una zona oggi ridotta ad ibrido fra l’industrializzazione e l’antropizzazione a dir poco “selvagge”. La fascia olivetata si estendeva intorno a Sassari, circondandola, a partire da Truncu Reale fin sotto Osilo, a 360°, eccellente la qualità dell’olio prodotto, sia per via della presenza di rocce calcaree per tutta la zona che di ottimali caratteristiche climatiche e dei terreni; altrettanto ottimo l’indotto, ma ad oggi, quella fascia, la si è praticamente dimezzata.
Fare una passeggiata per tutto quel perimetro equivale a provocarsi soltanto -se si conoscono le antiche ma non troppo condizioni dei luoghi- delle indicibili sofferenze, altro che punteruoli rossi. Potature abominevoli, “a fare legna”, come nella peggiore tradizione becero/contadina del cittadino/villano; abbandono ed inselvatichimento di migliaia di piante delle quali nessuno sembra più essere interessato ad occuparsi davvero, estirpazioni e sradicamenti di colossi secolari per fare spazio alle famose quanto devastanti “casette per gli attrezzi” da minimo 200 mq più piscina o più semplicemente per lasciare il posto, appunto, a palme e ad altre specie che di produttivo o di endemico non hanno proprio nulla, anzi.
Un pianto.
Predda Niedda, dove sono spariti i migliori orti e i pochi terreni olivetati rimasti sono abbandonati a se stessi, soffocati da capannoni e strutture fra l’industriale ed il commerciale. Li Punti, Ottava, La Landrigga e San Giovannni, dove l’antropizzazione e la sub-urbanizzazione abusiva e senza servizi primari sono dilagate nel giro di pochi decenni, sino ad Olmedo e Alghero, tutte zone dove vedere un oliveto ben governato e senza “ferite” è una rarità. Resiste, ma non troppo, la parte che va dalla Buddi Buddi sino a Sorso-Sennori dove, dopo lustri di “cattive abitudini” come le “scuotitrici meccaniche” che recavano danni immani sia alla parte apicale che a quella radicale, si incominciano finalmente e vedere governo e potature degli oliveti molto più basse, più funzionali e rispettose. Ma per quanto riguarda molte delle zone prima citate, quelle inerenti al Comune sassarese, pare stia per arrivare un’altra minaccia ben più insidiosa e devastante del rosso punteruolo. Si tratta infatti del “nuovo” Piano Urbanistico Comunale, che parrebbe (uso il condizionale perché ancora non ho avuto modo di approfondire con dovizia, ma lo farò a breve con chi della cosa si sta occupando sotto il profilo agronomico) in procinto di valorizzare non quel bene e patrimonio arboreo, che ancora tanto può dare sia economicamente che come “qualità della vita” oltre che occupazionale, ma bensì per avvantaggiare, come se non fosse stato così sinora, proprio l’abusivismo e gli insediamenti di queste zone, chiamando il tutto con un nome/separè davvero da goliardi burloni: “valorizzazione”. Un comodo quanto solito escamotage che serve solo a nascondere ciò che solitamente si cela dietro operazioni di questo tipo, cioè le lottizzazioni e devastazioni su quel poco di verde, di “agreste” e di sano ci resta intorno ad una città morente, ad una campagna non più tale.
Cosa che manco i coleotteri più co…leotteri si sarebbero mai sognati di pensare e con i quali mi scuso, per l’irrispettoso paragone, ma questi nostri signorotti dell’amministrazione pubblica paiono sempre vivere altrove ed avere ben altri interessi, magari si saranno pure abituati all’olio di palma, visto che l’olio di gomito era e resta, per loro, un emerito sconosciuto e che, per certe operazioni, all’olio d’oliva preferiscono ancora una volta l’olio di vaselina. Alla sostenibilità preferiscono l’approssimazione e la complicità con la peggiore delle urbanizzazioni, quella delle costruzioni inutili, senza criterio e senza, appunto, nessuna vera “urbanizzazione”, solo specula e nemmeno del genere “ginecologico”.
Non c’è pace per gli Ulivi, direbbe oggi un famoso trascinatore di folle dai lunghi capelli. E le colombe porteranno in bocca un rametto di jakaranta o di acacia quando l’ulivo sarà solo un nostalgico ricordo. Ma saremo solo noi, a quel punto, ad essere davvero fritti, in tutti i sensi.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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Cara Cora (di Francesco Giorgioni)
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