Quella volta che ho pensato seriamente a cosa avrei potuto dire a una donna, in sardo, per conquistarla, la prima frase che mi è venuta in mente è: “A tui ti coddu!”.
Non esattamente la più seducente.
Ovviamente, mi sono messo a ridere di me stesso, ma subito dopo mi sono messo a pensare.
La colpa non era la mia, la colpa era dei Barritas!
https://www.youtube.com/watch?v=P6lXiqnvlCU
Non sottovalutate l’importanza che i Barritas hanno avuto per la mia generazione e, di conseguenza, per quelle seguenti.
E pensate a come Urgu & C. hanno suddiviso linguisticamente le loro canzoni.
Quelle comiche in sardo, quelle “serie” in italiano.
E dietro i Barritas si sono infilati gli altri, compresi “I 5 di Iglesias”, con i loro capolavori “Sa tzeracca” e “Ciceroni de Casteddu”.
Senza sapere nulla di sociolinguistica, ma con il fiuto dei grandi artisti, i Barritas avevano intuito che la situazione di diglossia (l’esistenza di una lingua “alta” e di una “bassa”, con divisione netta dei ruoli: ruolo pubblico, la prima, privato, la seconda), in Sardegna, stava mutando verso la “dilalia”, cioè verso l’invasione, da parte della lingua “alta”, anche della vita privata dei sardi.
I Barritas hanno impersonato, a metà degli anni Sessanta, la via sarda alla modernità nella continuità.
Hanno espresso una realtà sociale e culturale esistente, da veri artisti, ma l’hanno anche rafforzata.
Forse senza volerlo, hanno rafforzato l’idea che il sardo fosse inadatto al corteggiamento, al parlare d’amore.
E l’idea, parallela e complementare, che il sardo fosse una lingua da limitare alla comicità, alle barzellette, alle oscenità.
Questa idea ha avuto la sua apoteosi con i western all’italiana che trasmetteva Videolina negli anni Ottanta: doppiati in sardo—idea formidabile—ma usando soltanto parolacce in casteddaio.
La parabola dell’esclusione del sardo come possibile lingua del corteggiamento si è così completata.
Il sardo si è definitivamente affermato come lingua dei “grezzi”.
Ma tutto è cominciato con “Cambale twist”.
Contemporaneamente, negli stessi anni, Modugno, Celentano, Gianni Morandi e tanti altri, stavano procedendo all’italianizzazione linguistica della vita sentimentale della gioventù, compresa quella sarda.
Noi giovani non ascoltavamo più mutos e mutetus e non imparavamo più il linguaggio tradizionale del corteggiamento.
Né poteva essere diversamente, visto che volevamo una vita sentimentale molto più libera di quella dei nostri genitori.
Quelle canzoni ci parlavano di quella libertà e ci fornivano il linguaggio da usare per corteggiare le nostre coetanee.
Perché, dove avremmo potuto impararlo altrimenti quel linguaggio?
Il corteggiamento è uno dei momenti più privati e delicati della vita di una persona.
Da chi lo impari?
Dall’industria della rappresentazione dei sentimenti: dai film, dalle canzoni, dai fumetti, dai romanzi.
La latitanza degli intellettuali e degli artisti sardi ha così portato all’estinzione del registro del corteggiamento nel sardo.
Io questa cosa, dopo anni di riflessioni e di studio, l’ho scritta nel mio libro “Le identità linguistiche dei sardi”, Condaghes, 2013.
Voi siete liberi di non leggerlo, il libro, ma poi non venite a rompere i coglioni su Facebook con la vostra ignoranza militante.
Tanti po si cumprendi e chiusa parentesi.
Ora, la mancanza di un registro del corteggiamento in sardo comporta l’impossibilità di corteggiare, nella nostra lingua, la donna con cui vogliamo tentare di costruire una famiglia.
L’eventuale nuova coppia è condannata in partenza a usare l’italiano.
Di conseguenza, userà l’italiano anche nei confronti dei figli, anche perché le donne—come stabilito da serie ricerche in America negli anni Settanta—scelgono sempre la lingua che ritengono dia più vantaggi ai propri figli.
Questo è esattamente quello che è successo a partire dagli anni Sessanta e dai Barritas.
La sostituzione del sardo con l’italiano nel rapporto con i figli si è generalizzata negli anni Settanta (si veda “L’Italiano regionale di Sardegna, di Ines Loi Corvetto).
Oggi siamo a un passo dall’estinzione del sardo.
Come riportare il sardo nella vita privata dei sardi e nella vita dei bambini?
Formule magiche non ne esistono.
Una seria legge per l’introduzione del sardo nella scuola potrebbe fare già molto.
Usare il sardo in pubblico aiuterebbe moltissimo a renderlo una lingua normale.
Ma servirebbe anche una produzione artistico-letteraria in sardo, per reinventare un linguaggio dei sentimenti adeguato ai nostri tempi.
Insomma, una produzione che permettesse a un giovane di andare oltre l’attuale “minca mia a tui”!
Non troverei scandalosa l’istituzione di un serio premio letterario e di un festival della canzone in sardo, magari a S. Antioco.
Su festival de S. Antiogu.
Ci pensi, presidente Pigliaru.
Ma soprattutto l’assessore Firinu.
A volte le cose sono davvero semplici.
In questa categoria sono riuniti una serie di autori che, pur non facendo parte della redazione di Sardegna blogger collaborano, inviandoci i loro pezzi, che trovate sia sotto questa voce che sotto le altre categorie. I contributi sono molti e tutti selezionati dalla redazione e gli autori sono tutti molto, ma molto bravi.
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