Si muore in tanti modi. Ma la morte, ogni morte, è accomunata a tutte le altre da almeno una cosa: per certi aspetti, moriamo tutti all’improvviso.
Gavino era stato uno dei fondatori di questo blog collettivo. Era, Sardegnablogger, una barca quasi perfetta, a quei tempi. Si rideva, si beveva e mangiava, si dicevano cazzate a profusione, si viaggiava, ci si incontrava. E si scriveva con una facilità e una leggerezza che alla lunga resiste solo nei geni, mentre le persone normali inevitabilmente la perdono, come denti da latte qualsiasi.
Tutte le barche quasi perfette, a un certo punto hanno bisogno di una tempesta. La nostra in parte l’ho capito e in parte no, allora come oggi. Solo che allora faceva più male, oggi così così. Possiamo anche far finta, visto che la tempesta è una metafora, che la barca si sia spezzata in due. Quando succede nel mare vero, chi si aggrappa a qualche troncone, diciamo un pezzo della poppa, cerca di salvarsi con quello che trova. Ma non è che abbia particolari motivi per incazzarsi con chi si è aggrappato alla prua. Dentro le metafore invece ci sta, che il naufragio non plachi le incazzature, anzi, le rafforzi. Poi la tempesta scema, il frastuono cambia, ridiventa piano piano rumore, e a un certo punto, non si scappa, arriva quel silenzio irreale che si sente solo in mezzo al mare quando tutto, ma proprio tutto tutto è passato. E ti senti quasi ridicolo a pensare te stesso ma anche gli altri dentro la tempesta, così, alle prese con forze che nessuno controlla e capisce, tutti indifferentemente votati alla sconfitta o alla salvezza, che basta una raffica più forte e insistente a cambiare tutto. Sì, perché ora c’è silenzio e sembra tutto facile. A parte il fatto che qualcuno che l’ultima volta avevi visto attaccato a una tavola di parole, non lo vedi più. Vedi gli altri, senti le voci, riconosci sagome, ricevi notizie. Ma c’è qualcuno che non vedi più.
Ed è all’improvviso, che te ne rendi conto.
E non sai se sia più imbarazzante il ricordo delle tempeste passate o la consapevolezza che altre ne arriveranno, che ancora non si sono formate e sono lì, camuffate da bonaccia, da alta pressione velata di cirri, da quell’impasto di vino e rabbia e voglia di godere che, in mancanza di meglio, continuiamo a chiamare vita.
In culo alla balena Gavì, non quella di Sorso, mischina.
Neanche necessariamente Moby Dick, peraltro.
Facciamo così, sceglitela tu, se ti va.
Nacqui dopopranzo, un martedì. Dovevo chiamarmi Sonia (non c’erano ecografi) o Mirko. Mi chiamo Luca. Dubito che, fossi femmina, mi chiamerei Sonia. A otto anni è successo qualcosa. Quando racconto dico sempre: “quando avevo otto anni”, come se prima fossi in letargo. Sono cresciuto in riva a mare, campagna e zona urbana. Sono un rivista. Ho studiato un po’ Filosofia, un po’ Paesaggio, un po’ Nuvole. Ho letto qualche libro, scritto e fatto qualche cazzata. Ora sto su Sardegnablogger. Appunto.
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